Lo sguardo degli altri

Tzvetan Todorov, La vita comune. L’uomo è un essere sociale, Raffaello Cortina Editore 2023 (pp. 214, euro 14)

Sociale o politico che dir si voglia, che l’animale uomo non sia vocato alla solitudine e all’isolamento l’aveva già detto Aristotele: perché un intero un libro per ribadire il concetto? Perché quella constatazione – sin dall’inizio osteggiata da alcuni sofisti, per altro, per i quali la polis non realizzava ma limitava le potenzialità umane – è stata nei fatti a lungo contraddetta dal fior fiore dei pensatori europei, convinti assertori del fatto che “il rapporto con gli altri uomini è un fardello di cui bisogna tentare di alleggerirsi” e che “l’approvazione che richiediamo al prossimo non è altro che una colpevole vanità che l’uomo saggio non potrebbe mai tollerare; il saggio aspira all’autarchia, all’autosufficienza”.

Da Montaigne a Pascal, l’idea dominante è che “la socialità è la vita reale, ma l’ideale, e dunque la verità profonda della nostra natura, è la solitudine”. Per Machiavelli e Hobbes, poi, “l’uomo si occupa degli altri solo in apparenza” e “gli altri uomini sono per lui soltanto rivali e ostacoli”: “non possiamo amare nulla se non in relazione a noi stessi”, sottoscrive La Rochefoucauld. Al fondo, la convinzione è che l’individuo preceda la società, e dunque che ad essa si adegui in forza della propria “insocievole socievolezza”: parola di Kant, secondo il quale “la principale passione umana” è quella di “acquisire un ascendente sugli altri” acquistando onori, potere, ricchezze. Da notare: la passione precede, motiva non solo l’interesse economico, ma anche l’ambizione, intellettuale o politica, che in questo modo si infila in un vicolo cieco: l’aspirazione alla gloria e agli onori, finalizzata a rendersi superiori agli altri, dipende dagli altri… E dunque perché non fare a meno di questa maledetta aspirazione? I filosofi dei lumi la deplorano, e la loro soluzione, a parole almeno, si sente ancor oggi raccomandare.

Il discorso sarebbe finito, se mancasse un punto di riferimento essenziale: Rousseau, di alcune ipotesi del quale questo libro, dichiara Todorov, non è che un’“esplorazione”, un approfondimento, in particolare del suo fondamentale riconoscimento che “l’uomo è un essere che ha bisogno degli altri”. Che poi le sfortunate vicende e il temperamento, al limite del paranoide, dello stesso Rousseau sembrino contraddire questa acquisizione è un altro discorso. Resta il fatto che, al di là dell’amor di sé che ci induce all’autoconservazione e all’amor proprio che ci spinge alla sopraffazione, esiste “un terzo sentimento. A metà strada tra gli altri due, è l’idea della stima”, “il bisogno di attirare su di sé lo sguardo degli altri”, di essere considerati dagli altri: “un bisogno costitutivo della specie”. Più profondo del desiderio di approvazione o, ai giorni nostri, di notorietà, perché “siamo segnati da un’incompletezza originaria” e solo dalla considerazione degli altri deriva “il sentimento dell’esistenza propria”. L’uomo non vive soltanto, infatti, ma esiste, ed esiste attraverso gli altri: “il bisogno di essere guardati non è una tra le tante motivazioni umane”, è il fondamento, la fonte degli altri bisogni.

E con ciò, l’essenziale di quanto l’autore teneva a precisare, è detto. Ma le conseguenze sono tali da giustificare il seguito: una volta demolita la convinzione hegeliana che quella per il riconoscimento sia una lotta dalla quale solo uno dei due contendenti può uscire vincitore – lotta tragica, perché poi non sa che farsene del riconoscimento di uno sconfitto – e sostituita la dialettica fra servo e padrone con quella, nient’affatto antagonistica, fra madre e bambino, Todorov passa – traendo spunto anche da una nuova psicanalisi, “relazionale” – all’analisi critica di Freud, seguace pedissequo, quanto al tema della relazione fra l’io e gli altri, del pensiero di Hobbes. Homo homini lupus: il disagio della civiltà nascerebbe proprio dalla necessità di contrastare la natura propria degli uomini. Il pensiero del fondatore della psicanalisi trova d’altra parte un limite decisivo nel ritenere che il desiderio sia ricerca del piacere anziché della relazione.

Conclusione: l’”attrazione per il modello economico come mezzo per rappresentare l’interazione umana” e l’orgoglio degli uomini, portati a “nascondere la loro incompletezza costitutiva e presentarsi come padroni del loro destino”, sono le ragioni della persistenza della concezione asociale dell’uomo. Di qui la resistenza pervicace ad ammettere che il bisogno di esistere fa tutt’uno con il bisogno degli altri e della loro considerazione, un bisogno inestinguibile, perché costituisce “l’ossigeno dell’anima: “così come il fatto di respirare oggi non mi permette di fare a meno dell’aria di domani, i riconoscimenti passati non mi sono sufficienti per il presente”. Potrò cercare “compensazioni secondarie” o trovare, più o meno in buona fede, espedienti per far fronte alla mancanza o all’insufficienza di riconoscimento, ma il tutto si risolverà solo in un tentativo di aggirare il problema. Altro è coltivare, raggiungere la capacità di realizzarsi: nel lavoro ben fatto, in momenti paghi di sé stessi che possono verificarsi mentre si legge o si contempla la natura o un’opera d’arte. Ma attenzione, non si sta facendo rientrare dalla finestra l’ideale, pretenzioso e illusorio, dell’autosufficienza, che si era cacciato dalla porta: “in solitudine non si smette di comunicare con i propri simili” e Rousseau, nella sua ricerca di luoghi appartati e silenziosi, non si contraddice: “restando solo, non è meno sociale, poiché pensa, si interroga e scrive”.

“L’esistenza umana – ecco la vera conclusione – non è minacciata dall’isolamento, perché l’isolamento è impossibile; è minacciata da alcune forme di comunicazione che impoveriscono e alienano, e dalla rappresentazioni individualistiche di questa esistenza che ottengono credito e ci fanno vivere come una tragedia quella che è la condizione umana in sé: la nostra incompletezza originaria e il bisogno che abbiamo degli altri”.

Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.

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