La dignità per invecchiare in questi tempi

Marco Aime, Luca Borzani, Invecchiano solo gli altri, Einaudi 2017 (pp. 123, euro 13)

Lidia Ravera, Il terzo tempo, Bompiani 2017 (pp. 495, euro 19)

“Dilagante senescenza” delle nostre società come dato di fondo, destinato ad assumere un ruolo centrale nel XXI secolo, quanto il riscaldamento climatico e le migrazioni.

Questione che non solo la politica ma anche la cultura diffusa, vecchi compresi, tendono a rimandare, nel caso migliore. A rimuovere, di fatto. La de Beauvoir della Terza età, l’Améry di Rivolta e rassegnazione, il Bobbio di De senectute, fino allo Zagrebelski di Senza Adulti  e al Celli di Generazione tradita, sono solo alcuni degli autori delle cui riflessioni Aime e Borzani fanno tesoro, per introdurre tuttavia un dato di novità rispetto alla letteratura sull’invecchiare e la condizione degli anziani, il giovanilismo che il mercato incoraggia e la solitudine disperata dei vecchi che non possono proporsi come consumatori.
Non solo occorre aver presente che non si può parlare dei vecchi senza dire dei giovani, ma soprattutto – qui l’elemento principale di interesse del saggio – è necessario calare il discorso nella realtà attuale, mettendo al centro dell’attenzione chi è vecchio oggi e quali rapporti intrattiene con chi è giovane, oggi. Ed ecco allora una sottolineatura decisiva: “La generazione che si è riconosciuta come giovane, che ha riempito le piazze e occupato scuole e università in nome della rottura con la società dei padri, fa ora i conti con la propria vecchiaia. E lo fa nascondendola, non guardandola, cercando di restare comunque attaccata alla scena.” I vecchi di oggi – citando Celli: “Eroici  nel Sessantotto, fiaccati negli anni Settanta dal susseguirsi di aborti rivoluzionari, tanto sanguinosi quanto velleitari, arresi negli anni Ottanta a un benessere compensativo” –  non hanno fatto davvero i conti con il loro passato e hanno invece “creato un’epica autocommemorativa e lasciato poco spazio a chi è venuto dopo”. “La mia generazione e quelle successive – afferma Alessandro Bertante, nato nel ’69, in Contro il ’68 (Agenzia X, Milano 2007) – formatesi culturalmente negli anni Ottanta e Novanta, gravate di questo fardello e soffocate dall’abbraccio di padri che si rifiutano di invecchiare e temono di perdere il loro presunto primato intellettuale, non sono state capaci di un rigenerante conflitto anagrafico”.
Ma non si tratta solo di attaccamento a idee, miti, comportamenti vissuti quando erano giovani a impedire ai vecchi che si formarono a cavallo fra i Sessanta e i Settanta di costruirsi un’immagine corrispondente alla loro età effettiva. Chi invecchia oggi non può più contare su modelli del passato, perché le età dell’uomo sono diventate oggi più numerose e articolate: si è tardo-adulti e poi  giovani-vecchi prima di essere considerati e potersi considerare vecchi davvero. Le immagini propagandate dal mercato finiscono per essere introiettate, almeno nelle fasce sufficientemente abbienti della popolazione anziana.
Se, in conclusione, sono da un lato necessarie politiche che affrontino il grande tema dell’invecchiamento delle nostre società non in termini esclusivamente assistenziali e diretti solo a mitigare i disagi delle fasi ultime della vecchiaia, dall’altro sono gli anziani stessi a doversi “ricollocare nel proprio tempo e a misurarsi con gli scenari del mutamento accelerato e dell’incertezza”, a dover acquisire la consapevolezza che “è nel riconoscimento e non nel nascondimento, nel convivere con il limite e non nel riciclaggio, che possiamo trovare, anche individualmente, la dignità per invecchiare in questi tempi.”

“Una Woodstock geriatrica?” domanda ironico il figlio alla madre sessantaquatrenne che si ripropone di riunire in una comune i compagni con cui aveva convissuto quando di anni non ne aveva ancora venti: “La gente cambia, mamma. Tu sei rimasta identica perché sei piuttosto concentrata su te stessa. E’ stato il tuo tasso di narcisimo a conservarti”.
Ecco: Costanza, la protagonista del romanzo di Lidia Ravera è per molti aspetti la rappresentante di chi, giovane negli anni settanta, non lo è più oggi. Anche se Costanza non è affatto portata a rimuovere la vecchiaia incipiente: giudizi impietosi, battute fulminanti attraversano le pagine a manifestare un’autoironia sempre all’erta, quasi assillante (nessuno può ironizzare su di me e sulla mia età: l’ho già fatto io…). E l’autrice sembra consapevole di questo suo atteggiamento se fa ammettere al suo personaggio che il suo umorismo “sa di fiele”. Si ritiene comunque un'”antropologa della vecchiaia”, che cura con gusto e intelligenza la rubrica online Vecchiaia, istruzioni per l’uso. Senonché, non le basta: vuole rimettere insieme la comune, appunto. Nonostante lo scetticismo di certe amiche: “Mi fa tenerezza la tua pervicacia – le dice una di queste – la testardaggine con cui hai coltivato in tutto questo tempo il mito degli anni settanta. I tuoi, naturalmente. Non gli anni settanta come sono stati. La tua versione dolcificata. (…) Una rivoluzione senza spargimento di sangue”.
Eh sì, gli anni settanta, a quanto pare, non tramontano per chi li ha vissuti e magari non ha più smesso di “confondere la sinistra con l’età delle illusioni (…) quando ci facevamo carico dei mali del mondo come se ne conoscessimola cura, con l’altruismo distratto di chi può sperperare il suo tempo”.
C’è molto di più, in questo romanzo, ma tener presente la chiave che Aime e Borzani ci hanno suggerito è senz’altro uno dei modi per leggerlo.

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