Un provvido scetticismo

J.M. Coetzee, Il polacco, Einaudi 2023 (pp. 128, euro 17)

Witold, un pianista polacco, settantenne, solo; Beatriz, una signora di Barcellona, quarantenne, sposata (anche se il suo matrimonio è di quelli che si reggono sull’abitudine, una sostanziale amicizia e parecchie cose che non si dicono). A farli incontrare, un concerto del pianista, che esegue il suo Chopin, assai poco simile al musicista romantico che Beatriz conosceva. Parlano inglese perché lei non capisce il polacco e lui lo spagnolo, e questo rende ancor più difficile comunicare se non in modo formale – secondo Coetzee, l’inglese, quando non è lingua madre ma convenzione linguistica imposta imperialisticamente, è un idioma in cui non si possono dire molte cose, l’amore per esempio.

Senonché, il vecchio pianista s’è innamorato come mai nella sua vita, perché la signora spagnola gli “dà pace”, anche se non lo contraccambia, non riconoscendosi nella visione idealizzata che Witold di lei si è fatto, non provando attrazione per lui e ciò nonostante, mossa da un sentimento che non sa definire altrimenti che “compassione”, a lui concedendosi per poi mettere fine a un rapporto impossibile. E tuttavia non finito, destinato invece a trovare nuova occasione nelle poesie che lui le ha lasciato.

Potrebbe essere la trama di un racconto sentimentale, un po’ patetico, ma c’è Coetzee di mezzo, che lo smonta, in due modi.

In primo luogo, usando il tono, e lo stile, di chi riferisce una vicenda richiamandone i passaggi essenziali (non solo i capitoli sono numerati, ma anche i paragrafi, a volte brevissimi), il che non gli impedisce, in secondo luogo, di raccontare con una simpatia partecipe anche se sempre controllata, a volte con un’ironia altrettanto velata, l’evoluzione dei quesiti che Beatriz si pone, e pone al polacco, e dei sentimenti che via via prova, con sfumature incerte, contraddittorie, che l’autore sa tuttavia rendere, mettendosi – si direbbe – nei panni della donna assai più che in quelli dell’uomo.

Ma Coetzee non si limita a prender le distanze da ciò che lui stesso narra, proponendoci qualcosa che somiglia al racconto di un racconto. La sua opera di sezionamento di una trama in sé tradizionalmente lineare, si realizza nell’analisi sempre più incalzante del confronto fra due modi di sentire, da un lato i sentimenti assoluti dell’uomo, dall’altro l’inclinazione della donna a dimensionarli, circostanziarli, che appartengano ad altri o a lei stessa.

Un esercizio di bravura, dunque? nient’altro che l’espressione di una padronanza che spazia dalla sfera psicologico-affettiva a quella letteraria? No: la trama si manifesta, a mano a mano che si procede nella lettura, come il pretesto per evocare questioni essenziali, come il significato dei sentimenti, il posto da essi occupato nella vita, il loro destino dopo che la vita è finita. Che cosa resta di noi, soprattutto se non siamo di quelli che credono in una vita oltre la morte? sembra la domanda che alla fine prevale sulle altre che la narrazione ha suscitato.

“Dare gioia, Dare illuminazione. Dare seme / così che sempre, nuovamente / una stagione dopo l’altra / possa germogliare il nuovo raccolto”, recita una delle poesie dedicate a Beatriz, aggiungendo però che “Come il serpente che si morde la coda / il tempo non ha fine. / C’è sempre un tempo nuovo / una nuova vita / una vita nuova”. Già, ma non per chi, come il pianista, ha visto arrivare la fine “ma ha continuato a scrivere” dell’amore che ha fatto in tempo a vivere, o a voler vivere, “per tenersi occupato e non dover vedere la morte avvicinarsi furtiva”.

Saranno proprio queste poesie, comunque, ad aprire finalmente un varco nella distanza che Beatriz non ha potuto fare a meno di imporre, e a portarla a rispondere scrivendo a sua volta a chi non potrà ormai più leggere: “Tu eri innamorato di me – non ho dubbi su questo – e l’amore è per natura esagerato. Quanto a me, però, i miei sentimenti erano più sfumati, più complessi. (…) Tu avevi alle spalle tutto lo scricchiolante edificio filosofico dell’amore romantico. Io non avevo simili risorse, a parte quello che considero un provvido scetticismo in merito agli schemi di pensiero che schiacciano e annientano gli esseri viventi”.

Abbiano visto Coetzee, in altri romanzi, nascondersi dietro l’intelligenza antiretorica e umanissima di un’anziana, Elizabeth Costello: forse non si sbaglia a vederlo prestare ora alla giovane signora di Barcellona le proprie riflessioni di uomo ultraottantenne.

Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.

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