Una profondità domestica e straniera

Vittorio Lingiardi, L’ombelico del sogno. Un viaggio onirico, Einaudi 2023 (pp. 178, euro 12)

Non è semplicemente ottima divulgazione, quella di Lingiardi: come nel precedente saggio sul narcisismo (Arcipelago N. Variazioni sul narcisismo, in queste note a fine ottobre 2021), è la capacità del narratore, del tema ma anche del cammino personalmente percorso per affrontarlo, a rendere accattivante il discorso e a chiamare in causa il lettore e la sua diretta esperienza. Tanto più quando di tratta di un’esperienza comune come quella del sogno, dimensione che “abita una profondità domestica a straniera, un altrove sconosciuto e nostro”, “ultimo spazio – forse – di vita privata”. Ma sempre sfuggente, perché “c’è qualcosa che appartiene al sogno che non riusciamo a consegnare alla veglia”, nonostante ci sforziamo di ricordare, di raccontare spesso, quel che nel sonno abbiamo vissuto.

Il richiamo a quanto del sogno sappiamo tutti si intreccia alla ricostruzione di quanto via via del sogno si è pensato, organizzando le informazioni secondo alcuni assi decisivi che si possono sintetizzare in poche domande: i sogni hanno un significato? e se ce l’hanno, proviene dall’esterno o dall’interno? Ecco una prima grande divaricazione: nell’antichità, ma per molti secoli anche dopo di essa, si credeva che i sogni fossero mandati dagli dei, ed era allora la divinazione la via per interpretarli; dall’inizio del secolo scorso (L’interpretazione dei sogni, atto fondativo della psicoanalisi freudiana, appare nel 1899) è invece un luogo che sta dentro di noi, l’inconscio, a generare le visioni del dormiente. Visioni che un senso l’hanno senz’altro, ma capace di illuminare a partire dal passato del sognatore o di aprire squarci anche sul suo futuro? Ed ecco una seconda decisiva faglia, quella che a un certo punto ha separato Freud e Jung, aprendo il campo a successive, altrettanto rilevanti interpretazioni, come quella attribuibile a un altro psicoanalista, Wilfred Bion, per il quale “Sognare non è un’attività confinata nello stato di sonno, ma un processo attivo anche nello stato di veglia attraverso il quale possiamo provare a dare significato a elementi altrimenti destinati a restare concreti e impensabili”. Ma non sono solo gli addetti ai lavori a conferire nuovi significati al sogno. Anche gli scrittori danno il loro contributo, a partire da Borges, per il quale la scena teatrale, e anche la trama narrativa, rivelano una contiguità sostanziale con l’attività onirica.

La prima sezione del libro è dunque riservata a scrittori e filosofi greci e romani: se l’origine divina dei sogni è in generale sottoscritta da Omero, il sogno di Penelope che egli stesso riporta e nel quale la stessa – racconterà – piangeva e singhiozzava per via di quel che stava sognando, prefigura “una concezione ‘moderna’ dall’attività onirica”, ossia un aspetto psicologico che pare nascere dall’interno. Il che porta a intravedere una continuità fra gli “oniromanti” in servizio presso le corti greche e gli psicoanalisti, così come fra opere come quella di Artemidoro, collezionista e interprete di sogni, e la psicoanalisi, come lo stesso Freud ammise, pur negando il potere predittivo dei sogni che l’oniromante di Efeso dava per scontato. Quanto agli esponenti massimi della filosofia antica, Platone pare incline a un’interiorizzazione, quasi una psicologizzazione del sogno, mentre Aristotele non vede nel sogno altro che “un’immagine che compare nel sonno”, niente più che il portato di “residui percettivi diurni”, per usare la terminologia contemporanea. Tutto il contrario della cultura ebraica che invece vi scorge significati che possono e meritano di essere individuati: “un sogno non interpretato è come una lettera non letta”, secondo il Talmud.

La seconda sezione affronta la differenza, già richiamata, tra Freud e Jung, mettendo in luce tra l’altro aspetti spesso non abbastanza considerati, o banalizzati, del secondo, che non nega “una capacità di anticipazione del sogno” ma in una forma simile all’“esercizio preliminare”, all’“abbozzo di una soluzione conflittuale”, sicché, essendo il sogno “inserito nella progettualità dell’attività psichica individuale”, si tratterà di interrogarsi non tanto sulla causa del sogno stesso, quanto piuttosto sul suo scopo: il sogno, insomma, non come “un impostore da smascherare”, ma come “una rivelazione da accogliere e amplificare”.

Dopo i due grandi della psicoanalisi, seguiti da Bion e Lacan, e dalla Kelin, Winnicot e Ogden, l’interesse per il sogno pare passare in secondo piano fino a che non tornano ad occuparsene le neuroscienze, a lungo contrapposte alla psicoanalisi nella loro versione neurofisiologica e invece entrate in dialogo con essa in tempi recenti – segnati dagli sviluppi delle tecniche di indagine sulle attività cerebrali. Tempi nei quali è sembrato possibile ipotizzare che “il sogno potrebbe essere l’affascinante oggetto scientifico che ci aiuta a dimostrare che psichico e neurale sono due facce della stessa medaglia”, “due forme della coscienza in dialogo, coscienza di veglia e coscienza di sogno”. Un dialogo che, quando lascia la seconda padrona del campo, ci dona “le ore più intense della nostra vita, le più personali, le più misteriose”, suscitate da “visioni al tempo stesso sacre, mentali, sinaptiche”.

Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.

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