Un intrico di minacce incombenti

Nancy Fraser, Capitalismo cannibale. Come il sistema sta divorando la democrazia, il nostro senso di comunità e il pianeta, Laterza 2023 (pp. 204, euro 20)

“Un intrico di minacce incombenti e di problematiche in atto” gravano sul nostro mondo: dal “debito schiacciante” ai “servizi in calo”, dall’“irrigidimento delle frontiere” a “pandemie letali e condizioni meteorologiche estreme, il tutto sovrastato da disfunzioni politiche che inibiscono la nostra capacità di immaginare e di implementare soluzioni”. L’inizio ci riporta là dove ci aveva lasciato la diagnosi di Nouriel Roubini (in queste note nello scorso maggio), ma l’autrice promette di andare oltre, “diagnosticando le cause della malattia e – soprattutto – facendo i nomi dei colpevoli, l’una e gli altri accomunabili nella formula che dà il titolo al libro: capitalismo – un termine che solo di recente pare essere ricomparso nel discorso pubblico – non semplicemente come sistema economico, ma come “tipo di società”; cannibale perché ne è costituiva la necessità di divorare tutto ciò che non rientra – non si vuole rientri – nella contabilizzazione economica: dalle risorse delle comunità al lavoro di cura, dagli ecosistemi ai beni comuni, dai poteri pubblici alle energie dei lavoratori e alle capacità di azione collettiva.

Ma il sistema non regge, questo è il punto, perché è “programmato per divorare le basi sociali, politiche e naturali della propria esistenza”, proprio come l’uroboro rappresentato in copertina, il serpente che si mangia la coda. Il cannibalismo di questo tipo di società è dunque, anche, autocannibalizzante, e se le periodiche crisi in cui cadiamo ne sono state finora il risultato, oggi – nell’epoca del neoliberismo – esse sono surclassate da una “crisi generale” veicolata dalla finanziarizzazione del capitalismo, in cui convergono inestricabilmente disuguaglianze e precariato, inceppamento della riproduzione sociale e migrazioni, disastro ecologico e involuzioni politiche.

La natura “onnivora” del capitalismo, inteso come “qualcosa di più ampio di un’economia”, è analizzata in capitoli i cui titoli sintetizzano con radicalità il dato di fondo costituito dall’insaziabilità di un sistema “affamato di diseredati” e “strutturalmente razzista”; “ingordo di cura”, quella prestata in primo luogo dalle donne, e dunque distruttivo dei meccanismi che stanno alla base della riproduzione sociale; portatore di una strutturale “contraddizione ecologica”, che ha ridotto la “Natura a brandelli”, e di un’altrettanto ineliminabile “contraddizione politica”, derivante dalla pretesa separazione della sfera economica da quella politica, e perciò destinata, con il prepotere della prima, a portare la “democrazia al macello”.

Dunque, “siamo spacciati?”, si chiede la stessa autrice. Significativamente, e analogamente a quanto avviene nel libro di Roubini, la pars construens occupa uno spazio ridotto, anche se, in questo caso, la possibile soluzione non conta su “un’incredibile botta di fortuna” che potrebbe intervenire a livello politico-economico – come ipotizzato dall’economista americano –, quanto piuttosto sulla rinascita di un “socialismo nel XXI secolo”. Non, dunque, un distacco “da qualunque idea di socialismo”, un’idea “dal sapore arcaico del ferro, del vapore e del carbone”, in favore di un sostanziale ripristino dell’orizzonte dei valori universalistici della tradizione umanista – come recentemente ha proposto nel suo “manifesto” Aldo Schiavone (Sinistra! Un manifesto, Einaudi 2023) –, ma una profonda revisione che permetta di “immaginare un progetto emancipatorio e controegemonico di trasformazione eco-sociale che abbia l’ampiezza” necessaria a fronteggiare la “crisi generale”: che “la si chiami socialismo o in altro modo, l’alternativa che cerchiamo non può mirare a riorganizzare solo l’economia del sistema”. A un capitalismo la cui voracità distruttiva non risparmia nulla, nemmeno sé stesso, occorre contrapporre un socialismo capace di “cambiare non ‘solo’ l’economia, ma l’intero ordine istituzionalizzato che costituisce la società capitalista” ed è alla base sia della sua perpetuazione sia delle sue intrinseche contraddizioni, generatrici delle “minacce incombenti” da cui il discorso era partito.

“Se – in conclusione – il socialismo vuole porre rimedio a tutti gli errori del capitalismo”, “deve inventare un ordine sociale che superi non ‘solo’ il dominio di classe, ma anche le asimmetrie sessuali e di genere, l’oppressione razziale, etnica e imperialista” , così come deve contrastare “le molteplici tendenze alla crisi: non ‘solo’ quella economica e finanziaria, ma anche quella ecologica, quella socio-riproduttiva e quella politica”: “se l’obiettivo verrà raggiunto (ed è tutto da vedere), sarà grazie agli sforzi combinati di molte persone, attivisti e teorici”. Diversi giudizi possono essere espressi su un trattazione come quella proposta da Fraser, rilevandovi elementi di novità e riproposizioni di temi e prospettive già presenti in altri autori – Serge Latouche, per citarne uno –, ma problematico appare, in ogni caso, il silenzio sulla trasformazione indotta dalle nuove tecnologie, e dalla compenetrazione crescente fra mondo fisico, digitale e biologico: può, quella che da molte parti è riconosciuta come una trasformazione rivoluzionaria, essere data per sottintesa in quanto aspetto della “finanziarizzazione”, che in effetti non si sarebbe potuta verificare senza la digitalizzazione dei dati e dei flussi di informazione? O ci si deve chiedere quali effetti si stiano producendo non solo nell’economia globalizzata, ma nella capacità di quel “capitalismo cannibale” cui il libro è dedicato di trasformare a proprio vantaggio i processi lavorativi, i legami sociali, le forme stesse della produzione intellettuale e della trasmissione culturale? E dunque, infine: le nuove tecnologie e le loro conseguenze devono essere assunte come un antagonista della grande opera di ricostruzione di un progetto di socialismo o possono, nel loro ormai ineludibile potenziale, essere interpretate come fonte di opportunità finora impensabili per una prospettiva di cambiamento?

Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.

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