Oltre l’accecante scontatezza della quotidianità

Karl-Markus Gauss, Viaggio avventuroso intorno alla mia camera, Keller 2023 (pp. 240, euro 18)

Il titolo ripropone quello dell’opera di quell’“arguto reazionario” che fu Xavier de Maistre (ma anche i reazionari possono scrivere libri da leggere, vedi Céline), aggiungendovi però quell’avventuroso di cui l’autore si incarica di render conto coinvolgendoci sin dalle prima pagine in viaggi che dalla sua casa e dalle sue cose – soprattutto quelle “cose di cui non si ha bisogno, e appunto per questo non possiamo farne a meno” – ci portano a incontrare luoghi e personaggi disparati, persi nella lontananza, quasi del tutto dimenticati.

Un vecchio tagliacarte, su cui si leggono il nome di un prodotto industriale brevettato a inizio ’900 e quello del suo creatore, offre lo spunto per una divagazione storica su Ludwig Hatschek, inventore dell’eternit e titolare di un impero economico del quale ingrediente non secondario furono le misure atte a garantire, secondo i dettami del paternalismo industriale, la fedeltà della forza lavoro ospitata in vere e proprie “colonie operaie”. Il lungo viaggio, che dall’Alta Austria ci porta fino al Brasile, si conclude in Italia, dove – nonostante fossero ormai note da tempo le conseguenze letali dell’asbesto, componente dell’eternit – se ne è continuata la produzione fino a metà anni ’80.

Dalle cose ai luoghi, alle persone, alle storie e alla Storia: il procedimento ricorda da vicino i romanzi-saggio di Sebald, e per certi versi – soprattutto per i riferimenti frequenti alla realtà mitteleuropea – anche il Magris di Danubio. Tanto più che anche la scrittura di Gauss è animata da uno sguardo critico sulla modernità e il progresso: “Coloro che in passato mi scrivevano lettere con regolarità oggi sono morti, o ammutoliti” nel passaggio “dalla realtà delle parole personali verso il mondo digitale delle parole di repertorio”. Un cambiamento che non ha risparmiato l’autore, che “dopo una renitenza disonorevolmente breve, (si è) arreso alla forma comunicativa dell’e-mail, grazie alla quale (può) far tutto tanto più velocemente di prima da doverci dedicare sempre più tempo”. Un paradosso che consegue alla profonda differenza fra i due modi di comunicare, essendo l’e-mail non “una variante contemporanea della lettera classica, bensì la sua negazione digitale, che la svuota della sua vera essenza”, ossia dell’obbligo di dedicare un certo tempo a comporre uno scritto che avrebbe svelato, attraverso la nostra scrittura e il modo di rappresentarci in essa, “un aspetto particolare della nostra personalità”. Non certo riassumibile in un breve, semplificato messaggio e tantomeno in emoji che, nonostante la loro varietà, “rappresentano l’individuo nell’epoca della sua autoabolizione”. È anche l’Adorno dei Minima moralia a far capolino in notazioni nette e conclusive come questa. Mentre sono soprattutto Sebald, e le sue ricorrenti disincantate riflessioni sul Tempo e la Storia, ad echeggiare in evocazioni come quella dell’illusione che, nell’imminenza della Prima guerra mondiale, portò la gioventù europea a pensare che “qualsiasi cosa stesse per succedere sarebbe stata migliore della tediosa sicurezza della pace”. Un’illusione allora, una suggestione diffusa oggi nella forma dell’attesa di un rivolgimento che tolga di mezzo “tutto ciò che odiamo e ci dà tormento” e non lascia intanto alternativa a un solipsistico “furore dell’inazione”, evidente in comportamenti ormai comuni come quello di “smanettare sullo smartphone”. Atteggiamenti che ogni giorno osserviamo e inconsapevolmente riproduciamo – ci dimostra quasi ad ogni pagina l’autore – acquistano un significato se se ne dà una lettura capace di vedere oltre l’accecante scontatezza della quotidianità. E l’attesa è appunto una di queste posture esistenziali: “L’attesa è l’impercettibile movimento della morte. Sempre, sempre noi aspettiamo qualcosa, aspettiamo la pausa pranzo, il weekend, i figli in visita, la promozione, le ferie, la fine delle ferie, la pensione, e piano piano si diventa vecchi e infine si muore”. Dopo aver magari condotto vite abitate dal fascino, e dalla pietas, per ciò a cui non è o non sembra assicurata l’esistenza: “l’atto di scomparire – confessa l’autore – è una cosa che mi affascina, e che nondimeno cerco di contrastare con tutte le mie forze intellettuali, tant’è che un po’ ovunque mi sono mosso sulle tracce di ciò che va scomparendo, che siano lingue, nazionalità, tradizioni, forme (…). Sempre mi trovo a voler salvare dall’oblio qualcosa che rischia di svanire, anche se non tutti devono per forza essere salvati”. Così, ad esempio, i libri che si erano progettati ma poi non si è scritto, non fosse che anche quelli meriterebbero di non essere dimenticati: “da tempo – confessa Gauss – accarezzo l’idea di scrivere un libro dei miei libri non scritti”, del quale è per ora venuto alla luce solo il “titolo provvisorio Tutti i libri che non scriverò più, (che) almeno registra due cose: che non riuscirò più a scriverli, e che ciò nonostante li considero libri miei. Esercitano la stessa influenza su di me di quelli che ho potuto concludere e pubblicare, poiché ognuno di noi è anche la persona che non è riuscita a diventare, e ciò che un autore tralascia di scrivere lo caratterizza non meno di ciò che si è autorizzato a scrivere”. Anche perché “dura nel tempo solo ciò che è scritto per quella giornata (…) e non ha paura di consegnarsi alla giornata, all’ora, all’istante, mentre tende a perdersi rapidamente ciò che aveva l’ambizione di durare oltre il proprio tempo ed era pensato per l’eternità”. Una constatazione favorita certo da una lunga esperienza di scrittura, ma resa possibile solo perché quell’esperienza è stata attraversata da un “tema costante, ovvero lo scorrere del tempo”, foriero non tanto di un’inguaribilmente infelice senso di caducità quanto piuttosto di una “religione”, connotata da una credenza di fondo, “e cioè che una vita gratificante non la si conquista in attesa di chissà quali eventi straordinari o sperando in grandiose avventure”, essendo che “lo splendore della vita risiede nel quotidiano, in come lo si gestisce dall’attimo del risveglio fino all’ora di coricarsi, o non c’è affatto”. E questa acquisizione non risulterà decisiva solo per la nostra esistenza, ma informerà uno sguardo su quanto ci circonda in grado di discernervi aspetti altrimenti invisibili: si tratta di “esplorare il mondo nuovo con lo stesso interesse, la stessa pazienza di matrice letteraria con cui ho sempre esplorato la vecchia Europa”, sapendo allora vedere, per esempio, che se nei paesi dell’Europa dell’Est “un passato malridotto si scontra con una modernità che si manifesta fin da subito come costruzione di rovine”, all’Ovest “il futuro è come un programma quotidiano per far sembrare trapassato il presente”.

Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.

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