Sfuggire alla drammaticità del divenire

Massimo Bucciantini, Pensare l’universo. Italo Calvino e la scienza, Donzelli 2023 (pp. 188, euro 25)

Un’avvertenza che ogni lettore di Calvino comprende al volo, innanzitutto: “Quando si ha a che fare con Calvino, il rischio che si corre più di frequente è quello di restare imprigionati dentro Calvino. Felicemente imprigionati, s’intende”. Per scongiurare il pericolo di “percorrere in lungo e in largo il suo universo narrativo e di restarne però, alla fine, prigionieri” non resta che una soluzione: “restringere il campo”, “lasciando perdere fin da subito ogni desiderio di completezza, e dunque scegliere: “Raccontare Calvino e la scienza è stato dunque anche un modo per far uscire Calvino da Calvino”, per trovare un bandolo nel discorso sviluppato in quarant’anni di lavoro. Tenendo però presente un dato di fondo: “Per Calvino la scienza non è mai termine di un rapporto. (…)

Diversamente da Levi, [Calvino] non stabilisce nessun incrocio tra pensiero e pratica scientifica da una parte ed esperienza letteraria dall’altra; per lui esiste sempre e soltanto la letteratura”: se si occupa di scienza non è perché è “interessato alla scienza in quanto tale”, ma perché “‘per esprimere via via le nuove condizioni esistenziali’, per comprendere ‘il nostro inserimento nel mondo’, non può non occuparsi delle immagini del mondo che la scienza produce”.

Alla base di un simile atteggiamento, c’è l’impegno a vivere a pieno il proprio tempo, tanto più a inizio anni sessanta, “inizio di un nuovo secolo” se si hanno occhi per il mondo della modernità industriale, i cieli solcati dai satelliti artificiali, così come per la trasformazione del paesaggio, per la ridefinizione dei rapporti fra gli uomini e degli uomini con l’ambiente: è in quegli anni che “Calvino prende congedo da ciò che ormai considera il passato e guarda al futuro, che gli appare già minaccioso e pieno d’incognite”. E qui si innesta la considerazione, che percorre tutto il libro, del cambiamento che per lo scrittore i primi anni sessanta comportano, anni che coincidono per lui “con la scoperta di un nuovo modo di fare letteratura” che si concretizzerà nelle Cosmicomiche, segnando uno stacco rispetto alla produzione precedente e all’ultima opera ad essa ascrivibile (La giornata di uno scrutatore). Il fatto è che Calvino non rifugge dal fare i conti con sé stesso: “Sapevo che non dovevo ricominciare a scrivere se non quando avessi avuto qualcosa da dire, e che avevo ormai chiuso un certo ciclo”, scrive nel 1963, dopo quattro anni di inquietudine seguiti al Cavaliere inesistente. Ma non si tratta solo di un problema di ispirazione e di scrittura: parlando di Ti con Zero, un paio di decenni dopo la sua uscita, Calvino ne individua il significato di fondo nel tentativo di “vedere il tempo con la concretezza con cui si vede lo spazio”, perché “vivere il tempo come tempo (…) rappresenta un tentativo di sfuggire alla drammaticità del divenire”. Un’affermazione, questa, che rivela la consapevolezza di essersi ormai lasciato alle spalle “i suoi vari tentativi di dare un senso compiuto alla propria esistenza” sotto l’influsso di una visione pessimistica, della storia, della vita: “Ti con zero è lo sforzo di trovare la maniera migliore di abitare la tragicità”, superabile dando “una forma qualsivoglia alla propria vita”, senonché, conclude lo scrittore, “a questa possibilità, che consentirebbe probabilmente un grado maggiore di felicità, credo sempre meno”. Gli unici strumenti da opporre – constata Bucciantini sulla base di ripetute prese di posizione di Calvino in questo senso – sono “la sua fabbrica di parole, la sua idea di letteratura”, il suo impegno di “scrittore morale la cui attività non è mai disgiunta” dal porsi “sempre in rotta di collisione con qualunque atteggiamento moralistico e con ‘certo volontarismo campato in aria’” (con chiara allusione al Sessantotto e alla Nuova Sinistra), così come con apologie entusiastiche del progresso tecnologico: “a chi con eccessivo ottimismo associa le conquiste spaziali al progresso civile e sociale dell’umanità, Calvino replica chiedendosi che cosa stiano pensando del satellite – siamo al tempo dei primi lanci sperimentali – ‘i pastori dell’Asia centrale, o del Marocco, e disoccupati, e affamati, e analfabeti, e minatori in fondo a buie gallerie (…). Bisognerebbe che la presenza del satellite non rimpicciolisse ma ingrandisse, aumentasse di peso e d’importanza ogni gesto umano, anche il più umile, e in tutti i lavori le lotte le ricerche si sentisse che l’era interplanetaria è cominciata”, e non inevitabilmente coincide, come per Pasolini, con “il pericolo spersonalizzante della tecnica e quello pseudo-umanistico della fantasia evasiva”. L’attitudine alla problematizzazione, la pratica costante di un pensiero critico e fondamentalmente scettico consentono a Calvino di scrivere, con il ciclo delle Cosmicomiche, un libro illuminista nel “significato più autentico di ricerca del ‘limite’, l’esatto contrario di un’esaltazione delle capacità umane e della ragione”, senza che questo comporti optare per la “rinuncia a un’idea forte di letteratura”, né tantomeno per “un abile gioco per rimanere sulla cresta dell’onda senza passare per vecchio”, come alcuni critici – si pensi a Carla Benedetti e ad Antonio Moresco – avrebbero in vario modo sostenuto.

Ben più motivata, e profonda, è l’evoluzione che porta dall’“ottimismo cognitivo” che ancora si respira nei racconti del signor Qfwfq al pessimismo, non solo culturale ma anche esistenziale, dell’“iperscettico” Palomar. Una tonalità pessimistica che ci aveva condotto, ancora prima, alle Città invisibili, il “libro di un pessimista”, non di un nichilista”, “un libro – lo stesso Calvino avrebbe sottolineato – in cui ci s’interroga sulla città (sulla società) con la coscienza della gravità della situazione, gravità che sarebbe criminale passare sottogamba, e con una continua ostinazione a veder chiaro, a non accontentarsi di nessuna immagine stabilita, a ricominciare il discorso da capo”. Non è solo nelle Lezioni americane, verrebbe da dire, che si possono trovare consigli per vivere, e continuare a pensare, nel nuovo millennio che Calvino non vide, e in cui noi ci troviamo.

Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.

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