Il catechismo e il telefonino

Chiara Valerio, La tecnologia è religione, Einaudi 2023 (pp. 116, euro 13)

Il nipotino, cinque anni, divarica pollice e indice per ingrandire la fotografia, come se la pagina del libro fosse lo schermo del cellulare: “Zia, il libro non funziona”, conclude infastidito. Il raccontino, più efficacemente di una presentazione argomentata, ci introduce al tema: viviamo in un mondo – l’unico, per un bambino, “in cui la tecnologia è sufficientemente potente da mimare la realtà”, generando una possibile confusione tra fatti e rappresentazioni. Un effetto non voluto che, occorre comunque riconoscere, “epoca dopo epoca, ha rappresentato il grande correttivo e amplificatore delle possibilità dei corpi”: “il corpo non ci basta più e in fondo non ci è mai bastato”. Perché mortale, innanzitutto: corpo di carbonio che tuttavia, da qualche tempo, è affiancato da corpi di silicio. A una “sostanza trovata” s’è aggiunta una “sostanza creata”.

Due cose diverse, per quanto sempre più compenetrate: “Le macchine, motivo per cui forse ci tranquillizzano, vivono di aggiornamenti, noi, quando siamo fortunati, di invecchiamento”. Eppure tendiamo a far convergere – se non a identificare, per il momento almeno – le due entità e, quel che è più, a credere alla tecnologia come fosse un “fenomeno magico o religioso” anziché riconoscerla “come risultante di un avanzamento di umanissime conoscenze affette da errori e passibili di evoluzione e miglioramento”. In un modo o nell’altro, innegabili restano gli effetti, della tecnologia dell’informazione soprattutto, cui, fra messaggistica, social e puntate di serie, dobbiamo una “frammentazione del tempo” che “attenua l’angoscia del trascorrere dei giorni o degli anni” facendoci apparire la fine “solo un’altra cosa che accade”: “l’algoritmo è l’ultimo nome che abbiamo attribuito alla grazia divina e l’ultima forma di deresponsabilizzazione”. La tentazione che la nuova tecnologia induce è quella di “allontanarsi dal pensiero della morte”, e del resto, il verbo della tecnologia è “credere”, diverso da quello della scienza, che è “provare”. Ciò che spesso è accaduto è che “la tecnologia, suo malgrado, è diventata antiscienza”. Di qui i vari negazionismi (dai vaccini al riscaldamento globale), esiti di una “fede”, di una religione che non cerca dimostrazioni, ed è incoraggiata da una scuola che, dopo la riforma Moratti di una ventina d’anni fa e le modifiche apportate dalla Gelmini, obiettivamente scoraggia la cultura scientifica, una cultura capace non solo di addestrare a procedure (tecnologiche) ma di rendere consapevoli delle ragioni (scientifiche) delle procedure stesse. Di una scuola, si tratta dunque, lontanissima da quanto credevano persone come Einstein e Picasso, fra loro tanto diverse eppure concordi nel pensare che la tecnologia “fosse qualcosa in grado di fornire tutte le risposte ma non porre alcun problema, sottolineando dunque che porre, e creare problemi, è una caratteristica umana”.

Così, fra aneddoti, ricordi autobiografici, divagazioni scientifiche e filosofiche (che a volte si ha l’impressione non sappiano o non vogliano giungere a una conclusione), l’autrice – segnando scarti spesso improvvisi – traccia paralleli comunque illuminanti. Andare a catechismo era sentirsi “ugual(i) agli altri, che è una delle forme laiche di sapersi assolti”, e in questo la sua funzione era simile a quella che sarebbe stata esercitata dal telefonino: “la tecnologia crea comunità e la comunità rende possibile immaginare e officiare riti collettivi, civili o religiosi, analogici o digitali. Mai più soli (…) Senza pensare poi, a quella maggioranza (…) alla quale prima o poi apparterremo tutti (i morti). Morti organici e morti digitali”. Sì, anche digitali, perché ogni anno “possiamo ipotizzare che circa 100 milioni di persone hanno un account social ma sono morte. (…) La sepoltura restituisce alla Natura, la materia del nostro corpo, sui social no”.

Ma attenzione, se non mancano accenti critici, nel discorso di Valerio, non è una visione pessimistica a prevalere: “nonostante tutto, io immagino il futuro, perché ho fiducia negli esseri umani. Penso che custodiscano ciascuno – ciascuno di noi – il sacro”. E “il sacro è il sentimento di credere che, nonostante la complessità, il mondo possa essere rappresentato attraverso gli alfabeti che abbiamo e avremo a disposizione”.

Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.

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