La speranza, nonostante tutto

Byung-Chul Han, Contro la società dell’angoscia. Speranza e rivoluzione, Einaudi 2025 (pp. 112, euro 13)

Innanzitutto la diagnosi. “Ci troviamo in una situazione in cui la crisi ha molteplici facce. Carichi di angoscia, volgiamo lo sguardo verso un futuro tetro. (…) Vivere si trasforma in sopravvivere”, e intanto “angoscia e risentimento spingono le persone tra le braccia delle destre populiste e alimentano l’odio. La solidarietà, l’amicizia e l’empatia subiscono un’erosione. L’espandersi dell’angoscia e il crescere del risentimento innescano una regressione della società nel suo insieme e, in ultima analisi, mettono in pericolo la democrazia”.

Di seguito, la terapia: “Solo nella speranza noi siamo in cammino. È lei a darci senso e orientamento. L’angoscia, di contro, rende impraticabile ogni percorso. (…) Le azioni hanno bisogno di un orizzonte di senso. Esse devono poter essere narrate. La speranza è loquace. La speranza narra. L’angoscia di contro non può accedere al discorsonon sa farsi racconto”. Ma attenzione, non si tratta di un rimedio calato dall’esterno, non si sa perché e da parte di chi, essendo che “la speranza più intima si risveglia proprio nel cuore della disperazione assoluta. La profondità della disperazione e l’intensità della speranza vanno di pari passo. (…) La negatività della disperazione è una parte costitutiva della speranza”.

Quel che troviamo nelle pagine successive è l’articolazione di questa tesi, arricchita di argomenti persuasivi e riferimenti autorevoli, come sempre in questo filosofo divulgatore – non a caso richiamato spesso in queste note – resi efficacemente fruibili.

“Il pensiero sorretto dalla speranza non è ottimista. Al contrario della speranza, all’ottimismo manca ogni negatività. L’ottimismo non conosce né il dubbio né la disperazione. La sua essenza è la piatta positività. (…) Di contro all’ottimismo, al quale non manca nulla e che non è in cammino, la speranza si presenta come un movimento di ricerca. La speranza è un tentativo di conquistare, raggiungere, afferrare una posizione e una direzione. (…) L’ottimista non ha bisogno di alcuna ragione che motivi il suo atteggiamento. La speranza, di contro, non si presenta come qualcosa di ovvio. Essa risveglia. Nella maggior parte dei casi deve essere evocataimplorata. Al contrario dell’ottimismo, che è privo di ogni risolutezza, la speranza attiva mostra un coinvolto impegno”.

Un passaggio decisivo, che in modo più circostanziato storicizza la diagnosi di partenza: “Non è veramente possibile ricondurre l’angoscia, oggi ubiqua, al fatto che il mondo si trovi in una catastrofe permanente. Noi siamo tormentati soprattutto da una serie di angosce diffuse, che sono strutturali e non possono essere ricondotte a eventi concreti. Il regime neoliberale è un regime dell’angoscia”, nel quale “noi ottimizziamo noi stessi, sfruttiamo noi stessi consumandoci fino alla morte nell’illusione di realizzarci. Questa costrizione interiore intensifica l’angoscia e ci rende, infine, depressi. (…) Se quindi oggi nessuna rivoluzione è possibile, ciò dipende dal fatto che nessuno di noi è più capace di sperare; e non ne siamo più capaci perché restiamo paralizzati nell’angoscia, perché il vivere si è atrofizzato in un sopravvivere”. Il sopravvivere di “consumatori [che] non sperano nulla. Hanno solo desideri o bisogni”.

Ed ecco i riferimenti filosofici: “per Spinoza la speranza è irragionevole. Chi agisce secondo «la guida della ragione» non ha bisogno né di sperare né di temere”, ma – obietta l’autore – “La ragione non riconosce i segni del venturo, del non-ancora-nato. È un organo che segue le tracce di ciò che è già presente”, mentre “la speranza va molto al di là dell’attesa passiva e del desiderio”. Anche Wittgenstein, con la sua ipotesi che si dia la possibilità che gli animali possano sperare, appare contestabile, perché “al contrario del desiderio, cosa di cui l’animale è ben capace, la speranza è strutturata in modo narrativo” e “la narrazione presuppone un’accentuata coscienza del tempo”, senonché – sostiene l’autore, in questo sostanzialmente allineato alla tradizione filosofica occidentale – “l’animale non è in grado di sviluppare l’idea del domani, in quanto questa ha un carattere narrativo” e “l’animale non ha modo di accedere a questo futuro narrativo”.

D’accordo con Nietzsche, invece, che riconosceva come la speranza fosse “uno stato d’animo fiero e mite”, ma anche – nonostante possa apparire contraddittorio – con la “speranza cristiana [che] ha sempre operato in senso rivoluzionario nella storia del pensiero delle società che ne sono state toccate”.

Non sorprende invece l’apprezzamento per Heidegger, autore puntualmente richiamato da Byung-Chul Han: “Nonostante sia diametralmente opposta all’angoscia, la speranza ha sul piano strutturale un’affinità con essa, poiché anche l’angoscia, a differenza dell’aver paura, che presuppone sempre un da che cosa concreto, è priva di oggetto. Per questo è possibile comprendere la speranza, proprio come l’angoscia, come un modo d’essere fondamentale”. Ma l’analogia finisce qui, perché “l’angoscia restringe radicalmente il campo del possibile e per questo ostacola l’accesso al Nuovo, a ciò-che-non-è-ancora. Già per questa ragione si contrappone alla speranza, in quanto questa intensifica il senso per il possibile e accende la passione per il Nuovoper il totalmente Altro”. Senza contare che “l’angoscia non genera alcun Noi attivo, capace di agire” (e magari orientarsi nel senso di quella rivoluzione che il titolo richiama…).

Ma non solo: in Heidegger “l’angoscia è, in ultima analisi, angoscia per la morte. Non la nascita ma la morte dis-pone l’opera del filosofo”, ma “Il pensiero della speranza non si orienta grazie alla morte ma grazie alla nascita; non grazie all’«essere-nel-mondo» ma grazie al venire-al-mondoLa speranza spera al di là della morte. Non l’‘anticipazione della morte’, ma l’anticipazione della nascita è l’andatura del pensiero che spera. Venire-al-mondonascere è la formula fondamentale della speranza”.

Non a Heidegger parrebbe si debba guardare, quindi, ma alla sua ex allieva Hanna Arendt, secondo la quale non si è al mondo per morire, ma per nascere.

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