Un abbecedario per imparare a vivere

A. Ceccherelli, L. Marinelli, M. Piacentini, Szymborska. Un alfabeto del mondo, Donzelli 2016, pp. 274, euro 26

Perché la poesia di Wisława Szymborska è tanto conosciuta, letta anche da chi solitamente non legge poesia, citata nelle sedi e nelle occasioni più disparate?

Il premio Nobel assegnatole nel 1996 non spiega un successo che sfiora la popolarità, e neanche si può sopravvalutare l’effetto della lettura pubblica che ne fece in televisione Saviano all’indomani della morte della poetessa, nel 2012 (evento che per altro influì certamente sulla diffusione della raccolta adelphiana del 2009, La gioia di scrivere). Occorre riconoscere che questo successo parte da lontano, dal lavoro di quanti riconobbero per tempo la grandezza della poetessa polacca, a cominciare da un editore come Vanni Scheiwiller e da un traduttore come Pietro Marchesani – su cui si sofferma Laura Novati in Szymbrorska. La gioia di leggere (Pisa University Press 2016) – ma occorre anche cercare nell’opera stessa le ragioni della sua accoglienza, rintracciare nei suoi testi un “alfabeto del mondo” come fanno Luigi Marinelli e gli altri due autori di un libro che va letto avendo accanto la raccolta delle poesie di Szymborska, cui puntualmente rimanda.
Si parte da “Amore” (con Amore a prima vista) per arrivare a “Z come Zen” (con La fine e l’inizio), e ogni capitolo ci aiuta a capire il perché della nostra affezione a questa autrice, così come può offrire motivazioni convincenti ad avviarne la lettura per chi ancora non ne ha fatto una consuetudine. Perché la poesia di Szymborska non si legge una sola volta, ma ci si torna: a cercare un sorriso (anche sulle evenienze cruciali della vita), una luce di intelligenza (anche sulle situazioni più intricate e dolorose), l’espressione di quell’umanissima (auto)ironia che si trova in tutta la sua produzione (anche nelle prose, come si notava alcuni mesi fa, in questi appunti per i lettori, parlando di Come vivere in modo più confortevole, Adelphi 2016).

Ma c’è di più, e lo nota Marinelli nel saggio che conclude il libro: essendo che “le cose, nella società, nella politica, nell’economia italiana degli ultimi venti anni sono andate di male in peggio, è stato un po’ come se lo stesso pubblico dei lettori richiedesse una poesia moderatamente ottimista come quella di Szymborska, che non si esprimesse in tonalità oscure, tragiche e sublimi, e soprattutto non fosse la manifestazione di un qualche moralismo o, peggio, pessimismo integrale, ma – per così dire – andasse incontro a tutti, o piuttosto a ciascuno, ai suoi bisogni emotivi e alle sue speranze.” Sì, c’è anche questo: quello che troviamo in questa poesia è “un invito, non tanto alla pazienza, ma a una filosofica, rasserenante presa di distanze da una realtà personale o anche collettiva (socio-politica) poco piacevole e vissuta male. Un atteggiamento anti-tragico, ironico e di moderato ottimismo sulla vita.”
E infine, un “ultimo, importante aspetto della straordinaria fortuna di Szymborska in Italia: in una società molto divisa fra vecchi (che ancora comandano) e giovani (che per lo più vivono precariamente le loro vite e il loro futuro), la sua poesia ha avuto l’ormai rara qualità di piacere a entrambi, di essere universale anche in questo senso intergenerazionale.”

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