Le cause del nostro smarrimento

Giovanni De Luna, Che cosa resta del Novecento. Piccolo manuale contro il disincanto, Utet 2023 (pp. 192, euro 15)

“Il XX secolo sarà stato un brutto secolo”, è il giudizio d’apertura: un secolo in cui, oltre alla violenza del nazismo e dello stalinismo, alla proliferazione degli armamenti nucleari dopo il loro uso a Hiroshima e Nagasaki, all’affermazione totalitaria della biopolitica, si sono verificate una cinquantina di guerre oltre le due mondiali, con un totale di circa 100 milioni di morti. E non è finita qui, come si leggerà nelle pagine che seguono. Ma la perentorietà del giudizio non deve far passare inosservato quel ‘sarà stato’, un futuro anteriore con il quale lo storico sembra proporsi di prendere le distanze dal suo oggetto per esercitare un’osservazione distaccata e insieme partecipe.

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Il posto del passato

Julio Llamazares, Diversi modi di guardare l’acqua, Il Saggiatore (pp. 176, euro 19)

“Una volta lì ci rendemmo conto che il paese non c’era ancora”. Quello di prima era rimasto nella “valle diventata un bacino idrico”: una storia che si è ripetuta spesso nelle regioni di montagna e altre volte è divenuta materia narrativa, come nel caso di Resto qui, di Marco Balzano (in queste note nell’aprile del 2018).
Gli abitanti han dovuto prendere le loro cose e spostarsi dalle montagne alla pianura, su questa terra vergine, da coltivare. Un pantano, una laguna, da bonificare.

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Una colta bonaria pensosità

Giulio Bollati, Memorie minime, Bollati Boringhieri 2024 (pp. 64, euro 10)

Non tutte le introduzioni meritano di essere lette prima del testo che illustrano, a volte lo gravano di aspettative che si riveleranno ingiustificate o di informazioni che si metteranno di mezzo impedendoci di incontrare l’autore. Non è il caso della nota che Claudio Magris premette a questa cinquantina di pagine, innanzitutto perché, sull’onda di un’amicizia profonda, sa restituire i tratti inconfondibili di un amico, “un fratello maggiore, da cui ha ricevuto molto”, per cui quello che ci offre è un ritratto della sua unicità, che si traduceva in un’“amabile saldezza di gran signore, ricca di humour, venata di un’ombra di malinconica timidezza e celata da un’aria sorniona, dal disincanto di chi sa come vanno a finire le cose, ma sa incantarsi per esse”.

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Una bestiale insensatezza

Jiří Weil, Sul tetto c’è Mendelsshon, Einaudi 2023 (pp. 300, euro 20)

Già la prima pagina spiega il titolo: il Mendelssohn citato è proprio Felix, il musicista, o meglio, la statua che lo raffigura, fra le altre che ornano il tetto della “Casa tedesca delle arti”, già sede del Parlamento cecoslovacco. Si tratta di “una statua ebrea”, come il nome del musicista rende evidente, secondo le autorità della Gestapo, e va quindi “scaraventata giù dalla balaustra”. Perché, si sa, “le statue sono sempre state le guardiane fedeli e il baluardo di questa città tedesca” – quale gli occupanti pretendono sia Praga – e dunque occorre che anche fra di esse si faccia pulizia: ordine di Heydrich, il responsabile supremo della “soluzione della questione ebraica”, operante nella capitale ceca.

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Culture e pratiche delle guerre attuali

Frédéric Gros, Perché la guerra?, nottetempo (pp. 156, euro 16)

È innanzitutto una constatazione ad aprire il libro del filosofo, politologo e romanziere francese: dopo “la nuova cultura della paura” diffusasi nei primi due decenni del XXI secolo, si è diffusa l’impressione del ritorno di una “logica militare più classica con le guerre in Ucraina e in Medio Oriente” (anche se “le nostre categorie politiche faticano a inquadrare le atrocità commesse da Hamas il 7 ottobre 2023 e, su un piano differente, il bombardamento massiccio da parte dell’esercito israeliano”), ma nello stesso tempo è risultato chiaro che – questo il giudizio di fondo di Gros – è necessario rispettare “la singolarità di ogni singola tragedia” e riconoscere che le categorie in uso “non restituiscono tutta la verità dell’evento”, che occorre quindi “contestualizzare, spiegare”, cose diverse dal “giustificare”.

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Un venale mangiasoldi o uno scrittore geniale?

Maurizio Testa, Maigret e il caso Simenon, Homo scrivens 2023 (pp. 196, euro 16)

Le camminate lungo la Senna, la pipa e il bicchiere di calvados in una brasserie, il via vai del Quai des Orfèvres: è lui, Maigret, attorniato dai suoi, Lucas, Torrence e Janvier, senonché stavolta deve indagare non su un malvivente, ma su uno scrittore, perché prima di legare il suo nome “all’immagine internazionale della cultura francese, occorre essere sicuri”, stabilire se si tratti di “un venale mangiasoldi o di uno scrittore geniale”. Ma perché affidarla proprio a Maigret, quest’“indagine delicata e complessa”?

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Un antidoto alla fiction dilagante

Raffaello Palumbo Mosca, Che cos’è la non fiction, Carocci 2023 (pp. 110, euro 13)

La definizione sembra semplice: è tutto ciò che non è fiction, che non è racconto o romanzo, poesia o testo destinato alla rappresentazione teatrale: i reportage, i resoconti di viaggio, i saggi narrativi, le autobiografie romanzate ossia l’autofiction. Da una parte il falso e dall’altra il vero, da una parte le storie e dall’altra la Storia, quindi? No, perché il finzionale, l’invenzione narrativa, non propongono di falsificare la realtà per ingannare, bensì per “dilettare e stimolare la riflessione”, ma anche perché la Storia ha molto da spartire con il romanzo.

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Una vita sensatamente inutile

Gabriella Caramore, L’età grande. Riflessioni sulla vecchiaia, Garzanti 2023 (pp. 144, euro 14)

Esiste una “sterminata biblioteca di scritti intorno alla vecchiaia e alla morte”: Caramore non vi aggiunge un ennesimo tentativo di sistemazione del tema, perché “è paradossale che sia una sovrabbondanza di parole che viene elargita a raccontare quel tratto di esistenza che si fa più silenziosa fino al tacere definitivo. In questo libro, dunque, non si troveranno che “pensieri, sensazioni, piccoli subbugli dell’anima”.

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L’inesauribile Simenon

Georges Simenon, Delitto impunito, Adelphi 2023 (pp. 190, euro 18) e Gli altri, Adelphi 2023 (pp. 145, euro 12)

Una modesta pensione, a Liegi; la proprietaria, una quarantacinquenne devota alla chiesa, e la figlia Louise, smorta e malaticcia; i pensionanti, studenti stranieri per lo più, fra cui il taciturno, tormentato protagonista, il polacco Élie, e Michel, rumeno, il cui arrivo scompagina il tran tran della casa, e la quotidianità di Louise, che ne diviene amante. Ma non è questo a rompere il precario equilibrio di Élie, che immaginava di poter vivere accanto alla ragazza per il resto dei suoi giorni, senza esserne innamorato e senza pretenderne l’amore, essendo lui incapace di amare, di soffrire, di vivere davvero fra gli altri.

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La sfida di un romanzo sulla crisi ambientale

John Ironmonger, L’orso polare e una scommessa chiamata futuro, Bollati Boringhieri 2023 (pp. 188, euro 17)

Dopo aver messo in scena, con La balena alla fine del mondo (in queste note a fine febbraio 2022), l’unica risposta possibile, per quanto utopica, ai disastri di una globalizzazione guidata dai ciechi interessi della finanza, Ironmonger ci riporta a St Piran, il villaggio della Cornovaglia dove il cetaceo si era spiaggiato, per affrontare il problema centrale dei nostri tempi e di quelli a venire: la crisi ambientale nella veste più evidente da essa assunta con i cambiamenti climatici e l’innalzamento dei mari.

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Imprigionati nel presente di un eterno intrattenimento

Luigi Maria Epicoco, Per custodire il fuoco. Vademecum dopo l’apocalisse, Einaudi 2023 (pp. 112, euro 12)

“La vita umana, quando perde il suo fuoco, è destinata a diventare fredda come la morte. Questa nostra epoca sembra aver smarrito il fuoco” ed essere quindi investita dal “freddo di una solitudine che, a macchia d’olio, sembra colpire molti uomini e donne dell’Occidente”, vittime della “religione dell’individualismo”. “Seppelliti dal consumismo”, siamo capaci solo di “trovare qualcosa che ci distragga da questa assenza di significato. Viviamo vite imprigionati in un eterno intrattenimento”, “appiattiti solo sulle questioni materiali”, cercando così di addomesticare la disperazione”.

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La coscienza e il computer

Ulf Danielsson, Il mondo in sé. La coscienza e il tutto nella fisica, Einaudi 2023 (pp. 162, euro 19)

Per chi si è rassegnato a una fisica, e più in generale a una scienza che non parla più la nostra lingua e non incrocia la nostra esperienza, inutile quindi da interrogare nella ricerca di un senso, questo libro, scritto da un fisico teorico, dimostra che il distacco consumatosi non è del tutto inevitabile. Perché di un libro impegnativo si tratta, duro, in certe pagine, ma capace anche di venirci incontro, ponendo le questioni che anche il non addetto ai lavori si pone.

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Storia di un dolore

Paul Auster, Baumgartner, Einaudi 2023 (pp. 160, euro 17.50)

Una “radiosa attenzione”, “la potenza di una personalità luminosa, vitalità umana in tutto il suo vibrante splendore che si sprigiona dall’interno verso l’esterno in un balletto serrato e complesso fra ragione e sentimento”: ecco “la cosa che aveva Anna”, la moglie che l’ha lasciato da qualche anno, “prigioniero del suo presente”, lui come chiunque viva, “dal momento in cui nasce fino al giorno in cui muore”. Ma il professor Baumgartner, per quanto solitario, non ha perso interesse per gli altri, i pochi che la sua quotidianità gli fa incontrare, né si piange addosso, per quanto abbia momenti in cui il rimpianto lo aggredisce e, di fatto, si senta “un moncone umano, un mezzo uomo che ha perso la metà di se stesso che lo rendeva intero”.

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Fatti documentati e fatti immaginati

Federico Maria Sardelli, Lucietta. Organista di Vivaldi, Sellerio 2023 (pp. 328, euro 15)

Caduto nell’oblio per oltre un secolo, prima che, a fine ’800, lo si riscoprisse quale ispiratore di parecchi concerti del coetaneo Bach, Antonio Vivaldi ha continuato a rappresentare una figura per molti aspetti misteriosa: il destino travagliato dei suoi manoscritti, persino l’incertezza su quale fosse la sua reale fisionomia fra quelle restituiteci dai ritratti hanno concorso a circondarlo di un’aura che non ha cessato di suscitare una curiosità, storica e umana, che ha trovato risposte in un saggista e direttore d’orchestra come l’autore, che appunto agli aspetti cui si accennava ha dedicato L’affare Vivaldi e Il volto di Vivaldi (Sellerio 2015 e 2021).

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Per un’economia politica critica

Clara E. Mattei, L’economia è politica, Fuori scena 2013, (pp. 192, ero 16.50)

“Il capitalismo ha i secoli contati”, titolava un suo libro un economista certo non sospetto di intenti apologetici come Giorgio Ruffolo, ed “è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo”, affermava provocatoriamente Fredric Jameson, grande critico della postmodernità. Del tutto opposta la posizione dell’autrice italiana, insegnante in un’università statunitense dove, caso più unico che raro, lo studio dell’economia non si è allineato alla corrente oggi dominante, quella che ha naturalizzato l’economia, depoliticizzandola, e condannandoci così alla rassegnazione e a un sostanziale consenso passivo nei confronti delle scelte economiche.

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Con gli occhi di una bambina

Claire Keegan, Un’estate, Einaudi 2023 (pp. 80, euro 12)

La riconosciamo subito, da quel suo dire senza dire, o senza dire tutto: come in Piccole cose da nulla (in queste note all’inizio dello scorso febbraio), la scrittrice irlandese ci racconta di una bambina, della sua famiglia numerosa, della madre in attesa di un altro figlio, del padre che giocando a carte “ha perso la nostra Shorthorn rossa” (e non si tratta di un’automobile: era una vitella, risorsa non trascurabile nel misero bilancio familiare). L’estate che dà il titolo a questo romanzo breve da cui l’anno scorso è stato tratto il film The quiet girl – è quella che la protagonista passa presso un’altra famiglia, i Kinsella: una coppia che ha perso l’unico figlio – annegato in una vasca di liquame: è una campagna per niente idilliaca quella in cui si svolge la storia – e che accoglie con un affetto e una sensibilità per lei inusuali la piccola ospite.

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Lo sguardo degli altri

Tzvetan Todorov, La vita comune. L’uomo è un essere sociale, Raffaello Cortina Editore 2023 (pp. 214, euro 14)

Sociale o politico che dir si voglia, che l’animale uomo non sia vocato alla solitudine e all’isolamento l’aveva già detto Aristotele: perché un intero un libro per ribadire il concetto? Perché quella constatazione – sin dall’inizio osteggiata da alcuni sofisti, per altro, per i quali la polis non realizzava ma limitava le potenzialità umane – è stata nei fatti a lungo contraddetta dal fior fiore dei pensatori europei, convinti assertori del fatto che “il rapporto con gli altri uomini è un fardello di cui bisogna tentare di alleggerirsi” e che “l’approvazione che richiediamo al prossimo non è altro che una colpevole vanità che l’uomo saggio non potrebbe mai tollerare; il saggio aspira all’autarchia, all’autosufficienza”.

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La legge nascosta dei destini

Emanuele Trevi, La casa del mago, Ponte alle Grazie 2023 (pp. 256, euro 18)

“‘Lo sai com’è fatto’. Quando mia madre mi parlava di mio padre ci metteva poco ad arrivare al punto, sempre lo stesso: per affrontare qualunque faccenda con quell’uomo enigmatico, con quel cubo di Rubik sorridente e baffuto, bisognava sapere-come-era-fatto. (…) Era evidente, d’altra parte, che non lo sapeva nemmeno lei com’era fatto, non lo sapeva nessuno”.

Se è vero che l’incipit rivela fin dall’inizio la qualità di un romanzo, questo di Trevi ne è la riprova. Apri il libro, leggi la prima pagina, la giri e a metà della seconda hai deciso: devi leggerlo tutto. E intanto ti chiedi che cosa ti ha conquistato e ti fa continuare.

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Il male su questa terra

Paolo Cognetti, Giù nella valle, Einaudi 2023 (pp. 128, euro 16)

Un cane che ne azzanna un altro e lo uccide per essere lui ad accoppiarsi. La femmina, testimone dello scontro, si concede al vincitore, che “l’annusò con gentilezza, si lasciò annusare. L’odore che lei sentì era di bosco, di terra, di foglie e del sangue del cane che aveva appena ucciso. Le venne voglia di leccarlo, e lo leccò. Poi lui la prese e così la sua infanzia era finita per sempre”. Possono Hemingway, o Carver, incrociarsi con Rigoni Stern? Cognetti pare dimostrarne la possibilità, in un racconto che per sua stessa ammissione ha nel Vecchio e il mare e nel London del Richiamo della foresta i suoi antecedenti, ma a Rigoni rimanda come al suo “grande maestro”.

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Un provvido scetticismo

J.M. Coetzee, Il polacco, Einaudi 2023 (pp. 128, euro 17)

Witold, un pianista polacco, settantenne, solo; Beatriz, una signora di Barcellona, quarantenne, sposata (anche se il suo matrimonio è di quelli che si reggono sull’abitudine, una sostanziale amicizia e parecchie cose che non si dicono). A farli incontrare, un concerto del pianista, che esegue il suo Chopin, assai poco simile al musicista romantico che Beatriz conosceva. Parlano inglese perché lei non capisce il polacco e lui lo spagnolo, e questo rende ancor più difficile comunicare se non in modo formale – secondo Coetzee, l’inglese, quando non è lingua madre ma convenzione linguistica imposta imperialisticamente, è un idioma in cui non si possono dire molte cose, l’amore per esempio.

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Chichita, amore mio

Italo Calvino, Lettere a Chichita 1962-1963, a cura di Giovanna Calvino, Mondadori 2023 (pp. 192, euro 14)

La conoscenza con Esther Judith Singer, detta Chichita, giunge dopo due anni in cui Calvino non ha scritto opere narrative: “Io forse non scrivo più e vivo bene lo stesso”, è arrivato a dire, nel maggio del ’61, all’amica Natalia Ginzburg. A un anno di distanza, tuttavia, il desiderio di lavorare a nuovi progetti è tornato: “Sono stanco della vita che faccio. Il lavoro editoriale (…) un mare di libri che non si ferma mai, occuparmi di tutti i libri di tutti gli altri, ma non potermi occupare dei libri miei”.

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