Un’arte antica in un racconto che attraversa i secoli

Version 1.0.0

Tracy Chevallier, La maestra del vetro, Neri Pozza 2024 (pp. 400, euro 20)

Il Tempo innanzitutto è protagonista in questo romanzo, perché “la Città d’Acqua è senza età. Venezia e le isole che ha intorno danno l’impressione di essere fuori dal tempo. E forse lo sono (…) il tempo sembra scorrere a una velocità diversa dal resto del mondo”. Di qui l’autorizzazione, di cui la scrittrice si sente investita, a proporre al lettore – inevitabilmente perplesso… – salti temporali che lo portano dal Quattrocento ai giorni nostri. Ma ci sono forse anche altre ragioni: la cultura materiale – della lavorazione del vetro, in questo caso – conosce evoluzioni che si svolgono in tempi più lunghi, e lenti, di quelli degli avvenimenti politici e del succedersi di detentori diversi del potere, e coloro che sono eredi di uno specifico saper fare attraversano la storia come rimanessero gli stessi.

La famiglia dei Rosso, i vetrai di Murano protagonisti del romanzo, rappresenta la famiglia tipo di questi artigiani che, appunto, ha connotato per secoli la storia di Venezia contribuendo alla fama internazionale della città: man mano ci si avvicina ai tempi nostri, “il mondo corre più veloce, anche a Venezia. Fatta eccezione per i vetri e i suoi creatori…”.

Ha frequentato a lungo Murano e le sue vetrerie, l’autrice, e si è documentata sulla loro storia. Non le sarebbe riuscito, altrimenti, di offrirci immagini così vive della città nei tempi in cui “Rialto era l’unico sul Canal Grande, per cui era sempre molto affollato”, e scricchiolante, essendo fatto di legno. Proprio come ce lo rappresenta Vittore Carpaccio, alla cui Venezia piena di personaggi in turbante e di Mori sembrano rimandare parecchie delle pagine di Chevalllier.

Su questo sfondo si dipana la vicenda dei Rosso, del loro ininterrotto confronto con i concorrenti e i mercanti del Fondaco dei Tedeschi, dei diversi caratteri dei suoi componenti e del progressivo, silenzioso affermarsi di Orsola, come le altre figure femminili dell’autrice della Ragazza con l’orecchino di perla donna intelligente, appassionata, indipendente. Esclusa dalla bottega, secondo la regola dei vetrai, sa imparare a produrre autonomamente perle di vetro sempre più raffinate, al punto da ritrovarsi in alcuni frangenti a trarne sostentamento per l’intera famiglia. Per la quale, oltretutto, sacrifica il suo grande amore, che andrà a esercitare la sua arte lontano da Venezia, a Praga, ma per tutta la vita manderà a Orsola – nel frattempo divenuta moglie e madre – i segni del permanere del loro legame sotto forma di minuscoli, variegati delfini di vetro.

La peste del Seicento, la cessione da parte di Napoleone della città agli austriaci, la rovina delle botteghe da questi provocata, e poi la Grande Guerra… I Rosso ce la fanno comunque, fino ad arrivare – Orsola ormai vecchia, ma ancora guida della sua famiglia – alla Venezia di oggi, ridotta a un parco a tema nel quale la produzione vetraria non può non decadere: “Orsola chiudeva gli occhi per non vedere le brutture spacciate per oggetti artistici che venivano propinate ai turisti”, indifferenti del resto a “lampadari o calici decorati” e desiderosi invece di lasciare la città portando con sé “statuette di vetro e caramelle di vetro”, spesso fatte “in modo spiccio, con disegni scadenti e colori mal assortiti”.

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