“Mentre scrivevo il libro, mi pareva di vedere ancora mio padre…”

“Mentre scrivevo il libro, mi pareva di vedere ancora mio padre, e l’atto della scrittura sembrava alleviare il trauma e il dolore per la sua morte. Eppure, quando ho finito il libro, è stato come se non lo avessi mai scritto. Tutto era come prima. Comporre quel ritratto non era servito a niente. Scrivere non è una terapia. (…) Ho scritto quel libro quando avevo metà degli anni che ho adesso, eppure penso ancora di continuo a mio padre”. (Paul Auster)

“La storia è un divenire progressivo fatto di piccoli slittamenti…”

“La storia è un divenire progressivo fatto di piccoli slittamenti, di presagi minimi prima di diventare destini collettivi, e più sono piccoli più occorre saperli intercettare e raccontare. Per questo si scrivono i romanzi: perché tutti, nessuno escluso, possano leggere delle piccole o grandi storie di cui è fatta la storia e si sentano meno soli nel secolo che è loro toccato in sorte”. (Dario Olivero)

“Il concepimento è ben poca cosa rispetto al parto…”

“Il concepimento è ben poca cosa rispetto al parto. Intendo dire che, fino a quando non sono state assorbite in una strategia narrativa d’insieme, le mie ‘idee’ – sul sesso, il senso di colpa, l’infanzia (…) – non erano diverse da quelle di chiunque altro. Tutti hanno ‘idee’ per romanzi; la metropolitana è piena di persone che si reggono alle maniglie rigirandosi per la testa idee per romanzi che non riusciranno mai a scrivere. Spesso anch’io sono uno di loro.”

(Philip Roth)

“Non si scrive narrativa per affermare principi e credenze che chiunque sembra condividere, né per rassicurarci sulla giustezza dei nostri sentimenti…”

“Non si scrive narrativa per affermare principi e credenze che chiunque sembra condividere, né per rassicurarci sulla giustezza dei nostri sentimenti. Il mondo della finzione ci libera dalle gabbie in cui la società rinchiude i sentimenti; una delle facoltà dell’arte è permettere tanto allo scrittore quanto al lettore di reagire all’esperienza in modi non sempre contemplabili nella quotidianità (…)- Possiamo anche non sapere di avere uno spettro di sentimenti e di reazioni così ampio, finché non vi entriamo in contatto grazie all’operato della narrativa. (…) Cessando per un po’ di essere cittadini integerrimi, precipitiamo in un altro stato di coscienza. E questa espansione della coscienza morale, questa esplorazione della fantasia morale, è preziosa, è preziosa sia per l’individuo che per la società.”

(Philip Roth)

“Diffido della parole pessimismo e ottimismo. Un romanzo non afferma niente; un romanzo cerca e pone delle domande…”

“Diffido della parole pessimismo e ottimismo. Un romanzo non afferma niente; un romanzo cerca e pone delle domande. (…) Io invento storie, le metto a confronto l’una con l’altra e in questo modo pongo delle domande. La stupidità della gente deriva dall’avere una risposta per tutto. La saggezza del romanzo deriva dall’avere una domanda per tutto.”

(Milan Kundera)

“Forse pensavo che mettere le cose nero su bianco, tenere un resoconto scritto della mia esistenza…”

“Forse pensavo che mettere le cose nero su bianco, tenere un resoconto scritto della mia esistenza, fosse un modo per neutralizzare… la mia scomparsa. La mia cancellazione. Lasciare un segno nel mondo, come si suol dire. (…) Ma anch’io per esperienza posso dire che scrivere le cose non serve, se non per il fatto che più tempo passiamo a scrivere meno ne abbiamo per fare quelle cose che finiamo per dimenticare nostro malgrado.”

(Lisa Halliday)

“Se il mondo è davvero truffaldino e irreale come a me sembra stia diventando ogni giorno di più…”

“Se il mondo è davvero truffaldino e irreale come a me sembra stia diventando ogni giorno di più; se ci si sente sempre più impotenti al cospetto di questa irrealtà; se l’esito inevitabile è la distruzione, se non di ogni forma di vita, quantomeno di quasi tutto ciò che di prezioso e civile c’è nella vita… allo perché, in nome di Dio, gli scrittori sono contenti? (…) il fatto che la situazione sia angosciante pesa sullo scrittore non meno, e forse anche più, che su qualunque altro cittadino – perché per lo scrittore la comunità è, in senso stretto, tanto il tema quanto il pubblico. E può accadere che, quando la situazione produce sentimenti non solo di disgusto, rabbia e malinconia ma anche di impotenza, lo scrittore si perda d’animo e finisca per dedicarsi ad altro, alla costruzione di mondi del tutto immaginari, e alla celebrazione dell’io, che può, in diversi modi, diventare il suo tema, nonché la forza che determina il perimetro della sua tecnica.”

(Philip Roth)