“Raccontare storie significa occuparsi del tempo, ed esperire la nostra vita come tempo ha a che vedere…”

“Raccontare storie significa occuparsi del tempo, ed esperire la nostra vita come tempo ha a che vedere col fatto che la nostra vita ha un termine, e che la vita dei nostri amici [e di quelli cui vogliamo bene] ne ha pure uno. L’angoscia di fronte a questo dover finire può naturalmente essere tenuta a bada (…). Ciò che però non scompare è la tristezza per questa finitudine. La tristezza non la si può vincere, può soltanto essere rifiutata o accettata. Il raccontare storie ha a che fare con il fatto di accettarla. La tendenza degli uomini alla tristezza li fa diventare narratori di storie”. (Peter Bichsel)

“La letteratura è una cosa così forte, che non ha bisogno di fare niente…”

“La letteratura è una cosa così forte, che non ha bisogno di fare niente. La letteratura è la mano su questa terra di un Dio che non esiste. Ha un potere imparagonabile. Le cose della vita, le stesse tragedie, sono momentanee. La letteratura non lo è. Il tempo è il peggior nemico delle persone. E l’arma migliore che la gente ha per combattere il tempo, per superarlo, è la letteratura. Di Omero non ti ricordi i politici, i soldati, i combattenti, ma ricordi Omero. Ricordi loro solo perché lui li ha raccontati. Un essere umano creato da Dio può vivere per circa 80 anni. Ma un personaggio creato dalla letteratura vive per sempre. Shakespeare, creato da Dio, non ha vissuto a lungo. Però Amleto creato da Shakespeare vivrà per sempre. Per questa ragione penso che Dio sia geloso degli scrittori”. (Ahmet Altan)

“Penso a volte che il vero scopo dello scrivere sia trovare parole definitive, oggettive…”

“Penso a volte che il vero scopo dello scrivere sia trovare parole definitive, oggettive, e so che questo non è possibile. (…) trovare una frase che racchiuda un sentimento, che lo incarceri una volta per tutte in una forma assoluta, che impedisca a chi legge di raccontare quello stesso sentimento con parole diverse da quelle che trova scritte. Questo è il sogno della scrittura. Ma è anche la sua chimera”. (Andrea Tarabbia)

“Il periodo in cui si è più vivi e consapevoli è l’infanzia…”

“Il periodo in cui si è più vivi e consapevoli è l’infanzia, e perciò si cerca di recuperare quell’acutezza di percezione. (…) Io conoscevo intimamente il mondo che mi circondava, ero al corrente della piccola storia di ciascuno, la materia di cui sono fatti i racconti e i romanzi. (…) Tutte queste cose si sono sommate rendendomi quella che sono”. (Edna O’Brien)

“[La lettura ad alta voce dei propri testi] risulta particolarmente utile ai fini di confermare…”

“[La lettura ad alta voce dei propri testi] risulta particolarmente utile ai fini di confermare la naturalezza e il ritmo dei dialoghi e rendere più agevole la correzione degli eventuali errori. (…) E infatti, ha scritto Flannery O’Connor, ‘l’orecchio sa leggere quanto l’occhio (…) ma talvolta fa addirittura meglio, e chissà quante scoperte ci aspettano in testi che abbiamo percorso con gli occhi, ma la cui qualità tonale continua a rimanere un autentico segreto’”. (Luigi Manconi)

“(…) i misteri della scrittura mi si erano rivelati da poco…”

“(…) i misteri della scrittura mi si erano rivelati da poco (…). C’era stato, sì, un innamoramento accorato, tutto supplice, tra me e le parole. Un riconoscersi a vicenda. Ma ero ancora inesperto. (…) molto tempo più tardi [avrei capito] che proprio in quel’approccio con le parole si recita già uno scongiuro. Che chi scrive, lo fa per sviare la morte”. (Simona Lo Iacono)

“L’equivoco per cui uno scrittore sia necessariamente anche un intellettuale è figlio dell’altro-ieri della storia letteraria…”

“L’equivoco per cui uno scrittore sia necessariamente anche un intellettuale è figlio dell’altro-ieri della storia letteraria (dell’engagement, dell’impegno di stampo secondo novecentesco etc.). Ciò non toglie che uno scrittore possa essere anche un intellettuale, ma i due campi, pur confinanti, non si sovrappongono. Quando un artista interpreta il mondo lo fa senza ridurlo a categorie ideologiche – quelle cui, giocoforza, ricorre un intellettuale impegnato – ma abolendo il concetto stesso di categorie e di ideologie. La sua prospettiva rispetto, a esempio, un conflitto bellico di scala internazionale, non è quella verticale della geopolitica, ma quella radente, orizzontale, del viandante, dell’uomo che cammina. (…) E l’opera ci mostra, per questo, della realtà, una verità ben più duratura di qualsiasi analisi obbiettiva”. (Stefano Gallerani)

“Bisogna guardare con perplessità o sconforto alle illusioni degli scriventi…”

“Bisogna guardare con perplessità o sconforto alle illusioni degli scriventi [altra cosa dagli scrittori, secondo la distinzione introdotta dalla Morante] e dei leggenti (spesso molto simili e vicini tra loro, a volte e sempre più spesso la stessa persona) (…) bisogna guardare alla scrittura e alla lettura come a ‘droghe’ non poi così secondarie, grazie alle quali si può diventare certamente più intelligenti ma anche, e pericolosamente, più acquiescenti all’andamento del mondo così come lo guidano i potenti, diventandone passivamente complici (…) Se il verbo non si fa carne, cioè presenza e intervento nella storia per renderla migliore, per riscattarne la tragedia, è grande il rischio che rimanga inerte chiacchiera, ciarla, evasione. E, a ben guardare, colpa”. (Goffredo Fofi)

“La scrittura, per come la vedo io, non è un esercizio di ego…”

“La scrittura, per come la vedo io, non è un esercizio di ego. È più simile alla costruzione di un mandala. Annullare se stessi e il mondo costruendone uno più nitido ma fittizio, il cui scopo è essere spazzato via da un colpo di mano. Lo stesso vale per la lettura. Il lettore troppo legato al suo io non riuscirà mai a godere appieno di un libro”. (Luca D’Andrea)

“Tutto quello che uno scrittore fa di diverso dallo scrivere…”

“Tutto quello che uno scrittore fa di diverso dallo scrivere è un tradimento dell’essere scrittori. Non lo si dovrebbe mai fare. Però la gente soffre. E allora tu sei davanti a un dilemma: proteggere la tua professione, o proteggere quelle persone che sono silenziose, senza voce e non hanno mezzi? Io ho cercato di fare tutte e due le cose. E tuttavia penso di avere commesso un crimine contro il mio mestiere, cioè contro il fatto di essere uno scrittore”. (Ahmet Altan)