L’avventura di un uomo incerto

Roy Fuller, Dietro le quinte, Guanda 2025 (pp. 208, euro 19)

Si direbbe che in questo romanzo la trama – che pure c’è e incuriosisce il lettore, pur senza proporsi di coinvolgerlo più di tanto – abbia soprattutto la funzione di raccontare il tipo d’uomo che il protagonista, George Garner, rappresenta. Poco più di quarant’anni, massiccio e sgraziato, barbuto, è scrittore ma per vivere fa un lavoro di routine in una casa editrice, per cui accetta senza esitazioni la proposta di dirigere una nuova rivista letteraria.

Senonché la morte di un ex compagno di scuola con cui era rimasto in contatto, e poco dopo di un dipendente di quello, lo immerge in una vicenda del tutto inaspettata. E qui si delinea il personaggio: uno di quelli che non stanno con tutt’e due i piedi in ciò che gli accade, che lo soppesano e lo giudicano sulla base delle loro impressioni prima di rispondervi comportandosi di conseguenza, e anche quando si risolvono a dire e ad agire restano consapevoli che avrebbero potuto anche farlo in altro modo. Distaccati, più che indecisi; fluttuanti tra le opzioni possibili più che problematici; dominati dall’introspezione quanto dalle convenzioni sociali.

A cucire il garbuglio dei pensieri, delle parole e delle scelte del suo personaggio è l’ironia dell’autore: Garner è l’eroe di una commedia inconsistente, nella quale la sua vita sembra essersi adattata e, tra mille interrogativi, proseguire. Non fosse che un filo la percorre, e sembra dare una qualche sostanza a un personaggio altrimenti fragile e sfocato: il costante sforzo di intravedere in quel che gli capita un materiale potenzialmente letterario, osservando chi lo circonda con l’occhio del “romanziere consapevole”.

Convinto del fatto che “un romanzo può crescere solo grazie al nutrimento fornito dalla vita del romanziere mentre scrive”. Nella visita alla fabbrica che era stata dell’amico scomparso, ad esempio, vede l’occasione per riflettere sul senso dell’“attività delle persone in una civiltà industriale”, sul loro vivere in un luogo di lavoro insopportabilmente chiassoso, “sgangherato”, ma – ecco il punto – “il problema (è) come arrivare a riflessioni come queste in un romanzo”, come tradurre la situazione nel vissuto di chi vi si trova, come fare di una “banale caratteristica esteriore (…) il terrificante simbolo dell’interiorità”.

Anche su questo fronte, tuttavia, la narrazione si mantiene sul registro dell’ironia, che dall’autore trascorre nello sguardo che il protagonista rivolge a sé stesso. Come quando avverte di aver forse trovato nella sorella dell’amico scomparso una lettrice ideale dei suoi romanzi: “abbastanza ignorante da considerarlo più intelligente di quel che era, ma abbastanza in gamba da riconoscere il talento che aveva”. Tale comunque da poterne fare la destinataria di confidenziali ritratti di sé: “provo delle cose, ma il sentimento non esce. Tranne quando scrivo”. Anche se la confidenza non lo porta a scoprirsi del tutto e a rivelare “l’idea – così familiare ai sui pensieri privati – che dietro (o addirittura dentro) il suo aspetto convenzionalmente bruttino ci (sia) qualcosa di grande interesse, bellezza, persino”, qualcosa che potrebbe soddisfare il desiderio, suo come di tutti, di essere amato.

Mentre si legge torna alla mente, per alcuni tratti, un altro personaggio, lo Zeno Cosini di Svevo: un’irresolutezza che percorre anche le aspirazioni più sentite, un’indecisione che coincide con la propensione a vedere gli aspetti contraddittori e pure tutti plausibili delle occasioni che si presentano, delle persone che si incontrano, delle sensazioni e dei desideri che si provano.

La vicenda procede tingendosi dei colori del poliziesco ma – siamo avvertiti – “la vita non (è) proprio come un poliziesco: i moventi non (sono) chiari, i fatti non (hanno) un’unica causa, le cose non si (spiegano) per intero” e a dominare è “l’improbabilità probabile”, come – secondo l’autore – in un romanzo di Dickens, lo scrittore da lui prediletto.

“Più ripenso alla vicenda nel complesso, più mi sembra che appartenga tutto al regno di incidenti e coincidenze” sarà la sua conclusione.

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