Ruderi, solo ruderi coperti di muschio, si dice scrollando le spalle, mentre apre la porta di casa. Odore di chiuso. Il gatto le viene incontro stiracchiandosi. Anche lui ha fame. Croccantini per lui, passato di verdura per lei ascoltando il radiogiornale.
E rieccomi nel pantano della quotidianità.
Silenzio, nessun passo familiare sulle scale, ha quasi nostalgia del puzzo di curry e di aglio dei vecchi vicini indiani, delle loro voci cantilenanti. Li hanno fatti sloggiare tutti, gli immigrati, li hanno pigiati nella periferia sud della città, in casermoni grigi e tristi e il quartiere dei disperati è stato ristrutturato ed è diventato borghese e lustro. Ora ognuno in casa sua e, al massimo, qualche nota di musica classica.
La vita mi è andata liscia, pensa spazzolandosi i denti.
“Sopportabile” ribatte l’ex vicina genovese che le si fa incontro dallo specchio, le sclere gelatinose. “Sicura di non aver vissuto la vita sbagliata?”
“Vecchia megera” urla Maria sputacchiando dentifricio. Vorrebbe schiaffeggiarla, strapparle almeno una ciocca di capelli. “Con che diritto? Non sai nulla di me, di me dopo Genova. E tu? Tu sei stata sposata o sei sempre vissuta sola, sola e orba, con quegli occhi lattiginosi? Sì sono stata felice, per quel che si può, come tutti, felice a tratti, una felicità malinconica.”
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