
Paola Castriota, Fascisti 70. Storie di vite estreme, Liberedizioni 2022 (pp. 168, euro 15)
Attenendosi al precetto della buona scrittura narrativa – non dire, ma far vedere –, in consonanza con la sua esperienza di autrice di documentari d’inchiesta, come quello dedicato alla strage di piazza della Loggia, Paola Castriota ci introduce a ciascuna delle storie di cui è fatto questo libro dandoci i riferimenti del tempo e del luogo nel quale si produce l’evento culmine, quello cui sembra essersi indirizzata la traiettoria esistenziale del protagonista. La conclusione si annuncia già all’inizio, stagliandosi sull’ordinarietà del contesto, staccando dalla quotidianità che lo connota. La morte, inattesa sempre e pure contaminata – quando non è la propria, o quella di chi ci è caro – dalla banalità degli accadimenti prevedibili e inevitabili, assume in queste storie il senso di un approdo fatale, lentamente maturato in giorni vissuti all’insegna di un’estraneità sostanziale, se non addirittura di una sorda opposizione, alla vita. Nel viluppo di pensieri e parole, atti e relazioni nel quale la vita di fatto consiste, l’originaria, mitica unicità che i protagonisti si sono persuasi di sentir pulsare nel profondo di sé stessi sembra infatti correre il rischio di disperdersi nella pluralità delle esistenze ai loro occhi omologate, insensate e moralmente corrotte della gente comune, nelle vite mancate che i più si rassegnano a condurre.
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