Capire, non giudicare

Ian McEwan, La ballata di Adam Henry, Einaudi 2014 (pp. 202, euro 20)

Se Lezioni, l’ultimo romanzo dello scrittore inglese è stato accostato a quello che molti ritengono il suo capolavoro, Espiazione, questo sembra ricollegarsi a Sabato, scritto una decina d’anni prima. Anche qui la figura di una professionista – una giudice di famiglia -, che richiama il neurochirurgo di Sabato non solo per la dedizione e la competenza con cui svolge il suo lavoro, ma per averne fatto il terreno sul quale si misura un’etica che dall’ambito professionale si estende alle relazioni sociali e si risolve – nella giudice – in un’apertura agli altri pacata, razionale. In una riservatezza empatica, verrebbe da dire.

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La rana e lo scorpione

Secondo una favola, attribuita erroneamente a Esopo, uno scorpione deve attraversare un fiume, ma non sa nuotare. Chiede a una rana di traghettarlo. La rana non si fida per paura di essere punta, ma lo scorpione la tranquillizza: «Se ti pungessi, tu moriresti e io, non sapendo nuotare, annegherei». La rana stette a pensare un po’, poi rassicurata, convinta dalla sensatezza dell’obiezione dello scorpione, lo caricò sul dorso e insieme entrarono in acqua. A metà percorso lo scorpione la colpisce con il suo aculeo velenoso. La rana, disperata e morente, gli chiede «È la fine per tutti e due!!! Perché l’hai fatto?». Lo scorpione, prima di morire annegato, risponde: «È vero, ma non potevo farne a meno… sono uno scorpione: è la mia natura!».

Oggi stiamo assistendo all’inquietante storia dello scorpione “imperialista”, una parola caduta in disuso ma che sta ritornando “di moda” nei fatti che segnano – da Oriente a Occidente – il nostro tempo. E non solo gli Stati Uniti o la Russia!

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Oggi, domani / Maurizio Guerri

“Tale è la tendenza estetizzante della fotografia, che il medium che trasmette l’angoscia finisce anche per neutralizzarla [diceva Susan Sontag]: all’interno del regime spettacolare delle immagini che domina lo sguardo globale (…) guardiamo tutto ma non vediamo niente. Questo forse è una delle chiavi che ci consente di comprendere la paralisi estetica e politica davanti al genocidio dei palestinesi. (…) “Guardare tutto, senza toccare niente”, scriveva Walter Benjamin a proposito del rapporto feticistico ed estetizzante che i consumatori di merci e di immagini intrattengono con i prodotti con cui entrano in relazione. Guardare, ma non vedere, quindi impossibilità di prendere posizione nella storia per trasformarla.” 

Il Tutto di cui siamo (sempre) parte

Emanuele Coccia, Metamorfosi, Einaudi 2022 (pp. 196, euro 17)

“Tutte le forme di vita sono figurazioni di una medesima sostanza, modi accidentali che non smettono di crearsi l’uno dall’altro e di distruggersi l’un l’altro”: la premessa richiama – quasi letteralmente – Spinoza, ma rimanda alla filosofia antica (dai presocratici agli atomisti, da Anassimandro ed Empedocle a Epicuro e Lucrezio) e in generale alla tradizione filosofica che vede la morte come l’esito di un naturale avvicendarsi di fasi, ricombinarsi di elementi, variamente definiti, che costituiscono il Tutto, di cui siamo parte.

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Oggi, domani / David Bidusssa

“Da una parte minaccia cresciuta in modo prepotente, dall’altra eclissi della pressione dell’opinione pubblica. Cosa lega questi due elementi e che cosa differenzia la scena di allora [anni della guerra fredda] da quella di ora? La scomparsa del futuro. Dietro chi agita la minaccia del nucleare c’è la dichiarazione di non voler cambiare il presente ma di garantire rapporti di forza favorevoli alla propria parte. Contemporaneamente ciò a cui assistiamo è la verticale perdita di terreno di una mobilitazione che chiede un futuro diverso. Negli anni più cupi della guerra fredda la mobilitazione dell’opinione pubblica ha funzionato. Cosa impedisce oggi all’opinione pubblica di funzionare o anche, più radicalmente, di non ritenere vincente una mobilitazione? È la fiducia nel cambiamento che sembra decisamente in declino.” 

Una favola tragica

Jean-Claude Grumberg, Una merce molto pregiata. Una favola, Guanda 2019 (pp. 112, euro 14)

Una raccomandazione preliminare: va letto tutto d’un fiato. Perché ha la compattezza di una narrazione fatta a voce, in cui il narratore non si interrompe se non una volta arrivato alla fine. E questo è uno dei pregi di questo racconto uscito in realtà da una penna sapiente nella sua leggerezza, nella sua capacità di condurre due storie in parallelo e di cadenzarle introducendo svolte decisive nella loro trama senza compromettere il tono distaccato di chi riferisce dei puri fatti.

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Un riscatto dal tempo

Eugen Fink, Oasi del gioco, Raffaello Cortina Editore 2008 (pp. 78, euro 9,50)

Il gioco può essere una buona cosa, ma non è una cosa seria, nell’opinione comune. Diversamente la pensa il filosofo, collaboratore di Husserl e di Heidegger, per il quale gioco è invece una dimensione esistenziale, una forma fondamentale per la vita quanto il lavoro, il potere, l’amore e la morte. Lo prova il grande spazio che al gioco, alle sue occasioni, alle strutture che lo rendono possibile riservano le società contemporanee, anche se – avverte un altro filosofo, Pier Aldo Rovatti, nella prefazione – altra cosa è il gioco di cui questo libro parla dal “divertimento organizzato dall’esterno” proprio delle nostre società-spettacolo che deformano e industrializzano l’intrattenimento”.

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Il richiamo del Barone

Alessandro Marenco, Giona, Temposospeso 2025 (pp. 245+XIII, euro 18)

La Liguria del XVIII secolo, i boschi dell’entroterra; un narratore che, ormai giunto all’ultima stagione della vita, mette per iscritto la storia del fratello maggiore la cui vita è stata segnata da un cambiamento repentino e irreversibile. Sin dalla prima pagina un’eco familiare si fa sentire, non fosse che i due ragazzi non sono rampolli di una famiglia aristocratica ma contadini, “padroni, piccoli, miseri, sì, ma padroni della terra e del bosco” da cui ricavano di che vivere.

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Un’entità viva e pure non umana

Evelina Santangelo, Il sentimento del mare, Einaudi 2023 (pp. 160, euro 17,50)

Un sentimento che non si lascia inquadrare nel genere (romanzo, saggio, raccolta di racconti, autobiografia) né ordinare secondo una precisa logica temporale, tantomeno circoscrivere entro un luogo determinato. La narrazione procede a ondate, è il caso di dire, e ogni racconto emerge dal precedente e fluisce nel successivo. Anche se un fulcro attorno al quale tutto il materiale narrativo ruota c’è: Lipari, l’arcipelago delle Eolie, al quale l’autrice torna – dopo traversie coniugali e sanitarie – per ritrovare l’“intimità” con il mare che era stata della bambina di un tempo.

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L’avventura di un uomo incerto

Roy Fuller, Dietro le quinte, Guanda 2025 (pp. 208, euro 19)

Si direbbe che in questo romanzo la trama – che pure c’è e incuriosisce il lettore, pur senza proporsi di coinvolgerlo più di tanto – abbia soprattutto la funzione di raccontare il tipo d’uomo che il protagonista, George Garner, rappresenta. Poco più di quarant’anni, massiccio e sgraziato, barbuto, è scrittore ma per vivere fa un lavoro di routine in una casa editrice, per cui accetta senza esitazioni la proposta di dirigere una nuova rivista letteraria.

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Il passato non è un fossile

Maylis de Kerangal, Giorno di risacca, Feltrinelli 2025 (pp. 192, euro 17)

“Giallo senza colpevole, detective senza incarico” si è letto a proposito di questo libro in una recensione recente (Gennaro Serio sul “manifesto – Alias” del 28 maggio) e infatti è anche questo, l’ultimo romanzo della scrittrice francese, anche se sembra piuttosto ascrivibile ai racconti che legano memoria e luoghi e trovano nell’evocazione la loro ragione di fondo. “Non potrei scrivere se non avessi prima un posto che la narrazione può abitare”, “per me la scrittura viene sempre in un secondo tempo, in differita”, spiegava l’autrice in un’intervista rilasciata un paio danni fa, quando era uscito il suo Fuga a est (in queste note il 28 maggio 2023).

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Luce d’Eramo / Scrivere, leggere

“Scrivere storie è un solitario stare assieme agli altri (liberatisi in personaggi) senza dar loro impiccio. Forse mi concentro a scrivere perché provo un sollievo straordinario dall’io ingombrante: quando si scrive, ci si annulla nei personaggi e si è liberi da se stessi; la più grande libertà è proprio da se stessi. (…) Siamo sopraffatti dall’io, lo portiamo ovunque, tutto è sempre riferito a noi stessi. Che sollievo invece seguire le proprie vicende personali come se accadessero a un altro: ho quasi imparato a guardare la mia realtà, le mie difficoltà, i miei nemici, con occhio narrativo. Forse proprio il bisogno di scomparire è lo scopo inconscio, il motivo di fondo, la molla dello scrivere. (…) Scrivo per scomparire, per accettare la morte. Come se fossi morta. (…) Infilarsi nella scrittura, se da un lato mi consuma, dall’altro mi alleggerisce la vita: mi guardo come rappresentazione”.