Consigli spiccioli per questioni inevitabili

Ermanno Cavazzoni, Manualetto per la prossima vita, Quodlibet 2024 (pp. 256, euro 17)

Che si torni al mondo, dopo averlo lasciato, pare certo; che non ci si ricordi della vita precedente probabile. Cavazzoni sembra d’accordo con Platone, sia pure con qualche riserva: se qualcosa è restato in mente si tratta solo di qualche déjà vu, non ci sono eccezioni – né responsabilità. Non ci sono quelli che non avendo ecceduto nel bere l’acqua del fiume Lete ricorderanno il mondo delle idee e dunque vivranno filosoficamente. Ai redivivi si possono se mai dare consigli spiccioli – da manualetto, appunto – riguardanti questioni inevitabili: la vita, la morte, il cosmo, i casi quotidiani, il fatalismo, l’aldilà (non roba da poco, per un manualetto). Consigli e riflessioni utili per evitare di cadere “negli stessi errori, nelle illusioni, nelle ingenuità del novizio”, quale inevitabilmente è chi nasce.

E dunque, prima questione: la vita. A proposito della quale occorre innanzitutto aver presente una circostanza basilare, ossia “che uno viene al mondo senza essere consultato”. E qui il dissenso con Platone e il suo mito di Er è netto. Nessuno può scegliere la vita che preferisce, figuriamoci: neanche sa che c’è un mondo in cui calarsi, perché “la condizione umana prima di nascere è paragonabile all’anestesia totale. (…) uno dal nulla cade in mezzo ad uno spettacolo in corso”, perché stare la mondo è dare spettacolo incessantemente, e non c’è modo di sottrarsi”. E alla fine non ci sono successo o fama possibili: solo la fine, “una malattia o un incidente, e poi buio, niente applausi”. Insomma, si va da un “ingaggio forzato” al “licenziamento definitivo”, dopo aver lavorato per alcuni decenni a “tempo determinato” nel Vero Incessante Teatro Animato, “in acronimo VITA”. Eppure, se “la vita non è rose e fiori, bisogna sempre pensare che c’è di peggio, allora anche nelle traversie più nere uno può stare allegro”. E anche la morte – seconda questione –, a ben vedere non è quel “disastro supremo” che si crede. (…) Prima di tutto perché morire è obbligatorio”, in secondo luogo perché “sembra non ci sia l’inferno” (e neanche il paradiso, col rischio di dover “stare lassù a cantare in coro la stessa canzone per tutta l’eternità”. Conclusione: “se dopo non c’è niente, secondo me dobbiamo solo dire grazie (…) si torna a quello che eravamo prima di nascere, un mucchietto di sostanze chimiche, principalmente carbonio e acqua, non ci vedo niente di male”.

Occorre imporsi di smettere di raccontarlo, questo libro, di riferirne i passaggi più esilaranti, perché sono cuciti uno all’altro secondo una logica che spiace dover troncare nella sua paradossale sequenzialità. Meglio dire delle sensazioni che leggendo si provano, allora, a partire da un gusto contagioso per l’ironia che non arretra davanti a nulla, ma lascia intravedere quel sottofondo vagamente melanconico che, qualcuno ha detto, è indisgiungibile dall’umorismo vero, divertente e insieme sottilmente innervato dei lampi di una visione tragica (non pessimista: tragica) della vita. Se è ancora un mezzo sorriso, amarognolo, quello che spunta leggendo che nei mercati di roba usata “in genere ci si trova l’arredamento e gli oggetti di casa degli ultimi settant’anni di una famiglia a basso reddito”, i cui membri sono morti lasciando agli eredi il compito di svuotare l’appartamento in cui avevano vissuto decenni”, ci si sente invitati a un atteggiamento meditabondo quando ci vien fatto notare che “uno vive si agita, matura delle convinzioni, arriva a capire qualcosa delle regole di questo pianeta, poi muore, e tutto quello che ha capito va in fumo”, dopo aver appunto penato per orientarsi nel mondo essendovi stato gettato “senza esperienza, senza un manuale di istruzioni” né tanto meno le conoscenze che avrebbe potuto acquisire se ci fosse una vita precedente, una vita “in prova”. E invece non sappiamo neanche quando finisce questa: “se ognuno avesse stampigliata la data della sua scadenza (…) sarebbe più onesto”: “scadono le mozzarelle, scade il tonno in scatola, scadiamo anche noi umani”, e di noi restano solo un po’ di fotografie, ossia “la rassegna di tutto ciò che non c’è più”. Perché “la vita passa al galoppo, non si fa in tempo a godersela che è già laggiù, irrecuperabile, resta il rimpianto tardivo, non tanto delle cose accadute, ma del fatto che non le abbiamo sapute vedere quando erano presenti e vive”. Di qui l’utilità della letteratura, “una macchina del rimpianto, ma anche della restituzione di pezzi di vita che si possono rivivere, persino nel caso non ci siano mai stati nella nostra vita effettiva”.

Torniamo comunque a sorridere quando il discorso accentua la sua vena satirica, immaginando per esempio – secondo l’espediente collaudato di raccontare un mondo alla rovescia che si rivela essere il nostro – che per sconfiggere la mafia, lo Stato e i partiti le si sostituiscano, in uno scambio di ruoli per cui ognuno dovrebbe eticamente “sentire la tangente o il pizzo come un dovere” e per avere fortuna politica bisognerebbe “mettersi in vista, con l’attivismo, una dose notevole di sfrontatezza, capacità di mentire”. Appunto…

Dominante appare tuttavia uno sguardo bonario, per quanto beffardo, che anche se non fa sconti a nessuno sa guardare a errori e debolezze coma a un tratto che ci accomuna. Il desiderare di esser famosi per garantirsi una sopravvivenza, quando invece “la gloria, la fama, in realtà è aria fritta, è come il nome dato a una via, se la via è lunga vuol significa che la fama è maggiore, se è un vicoletto è perfino un’umiliazione. (…) E poi la maggioranza non ha fama, se non quella minima fama in famiglia, supportata dall’album di fotografie” che poi vanno perse. Solo i libri, forse, rappresentano “un piccolo aldilà” in cui i defunti continuano a vivere.

Al fondo, come un filo che lega questo rosario di pensieri e di storie, resta il sapore di una marcata estraneità ai nostri tempi, che si concretizza in ricorrenti fantasie di scomparsa, di una frugalità tanto estrema da garantire l’autosufficienza e l’invisibilità agli occhi della burocrazia, e permettere dunque di “non esistere senza essere morti”, “scappando da tutto”.

Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.

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