“Insegnavo scrittura creativa…”

“Insegnavo scrittura creativa, una materia che personalmente non ho mai studiato e un’attività che non so bene come giudicare. L’unico beneficio possibile, come la vedevo io, era che lo sforzo insito nel tentativo di scrivere qualcosa avrebbe insegnato agli studenti quanto è difficile farlo bene e quindi affinato la loro capacità di apprezzare la buona scrittura”. (Paul Auster)

“Mentre scrivevo il libro, mi pareva di vedere ancora mio padre…”

“Mentre scrivevo il libro, mi pareva di vedere ancora mio padre, e l’atto della scrittura sembrava alleviare il trauma e il dolore per la sua morte. Eppure, quando ho finito il libro, è stato come se non lo avessi mai scritto. Tutto era come prima. Comporre quel ritratto non era servito a niente. Scrivere non è una terapia. (…) Ho scritto quel libro quando avevo metà degli anni che ho adesso, eppure penso ancora di continuo a mio padre”. (Paul Auster)

“La storia è un divenire progressivo fatto di piccoli slittamenti…”

“La storia è un divenire progressivo fatto di piccoli slittamenti, di presagi minimi prima di diventare destini collettivi, e più sono piccoli più occorre saperli intercettare e raccontare. Per questo si scrivono i romanzi: perché tutti, nessuno escluso, possano leggere delle piccole o grandi storie di cui è fatta la storia e si sentano meno soli nel secolo che è loro toccato in sorte”. (Dario Olivero)

“Il concepimento è ben poca cosa rispetto al parto…”

“Il concepimento è ben poca cosa rispetto al parto. Intendo dire che, fino a quando non sono state assorbite in una strategia narrativa d’insieme, le mie ‘idee’ – sul sesso, il senso di colpa, l’infanzia (…) – non erano diverse da quelle di chiunque altro. Tutti hanno ‘idee’ per romanzi; la metropolitana è piena di persone che si reggono alle maniglie rigirandosi per la testa idee per romanzi che non riusciranno mai a scrivere. Spesso anch’io sono uno di loro.”

(Philip Roth)