La città dei ‘desombrati’

Piero Bevilacqua, La città delle ombre perdute, Castelvecchi 2022 (pp. 158, euro 17,50)

Fa pensare a quei romanzi in cui succede qualcosa, non si sa cosa il più delle volte, per cui la gente smette di morire. Una ragione di felicità, all’inizio. Poi cominciano i guai: nell’isola di Luggnagg, Swift fa incontrare al suo Gulliver esseri che non muoiono ma non smettono di invecchiare: una condanna; Borges ritiene, nell’Immortale, che essere esenti dalla morte si risolva nel non essere nessuno, in un non essere, in definitiva; il Saramago delle Intermittenze della morte si diverte a raccontare con la sua ironia impareggiabile le conseguenze economiche e sociali della sparizione della morte, e il tema non ha smesso di fornire lo spunto. Per restare al vicino, Gianmaria Parrotta, ci si è esercitato con Immortali (Bartha 2021). Che cos’hanno in comune, al di là del loro valore letterario e filosofico, questi racconti? Il fatto che l’immortalità, da tutti alla fin fine giudicata una sciagura, dà il la a una serie di vicende e di considerazioni che si susseguono come rispondendo alla domanda implicita: che cosa succederebbe se…?

Avviene qualcosa del genere nel romanzo di Bevilacqua, anche se qui non è la morte a scomparire, ma le ombre. Le ombre che i nostri corpi proiettano. E non è che se ne vadano perché la gente – come il Peter Schlemihl di Chamisso – se le è vendute per guadagnarsi chissà che vantaggio. Nella cittadina di Mirasole alcuni si accorgono di non essere più seguiti dalla loro ombra. Scalpore e disorientamento iniziali, ma poi, come tutti gli avvenimenti, anche questo passerebbe in secondo se non accadesse che le ombre perdute non sono scomparse: si aggirano libere intrattenendosi fra loro. Ebbene, che cosa succederebbe se una cosa del genere accadesse?

Dibattiti e interviste, ovviamente, giornali e telegiornali a chiedere spiegazioni e pareri agli esperti o presunti tali. Secondo l’oculista si tratta solo di un inganno ottico, mentre per il geologo dell’effetto di flussi magnetici; per gli ambientalisti, del fenomeno si deve ritenere responsabile lo smog da traffico, ma nella città dei “desombrati” – per ogni nuovo evento nasce immediatamente il neologismo adatto, naturalmente – si può contare sulla cultura e la saggezza del professor panta rei, come da nomignolo affibbiatogli in ragione del suo eterno intercalare: anche lui desombrato, la prende con filosofia. Tutto passa, anche le ombre dunque, il che non lo esonera dall’interrogarsi, inquieto e divertito insieme, sulle ragioni della scomparsa della sua “ancella”, “aerea metafora dell’anima”… Più pragmaticamente, il sindaco riunisce una commissione di esperti, non tanto al fine di rivelare l’arcano, quanto di cogliere al volo la circostanza per dar lustro alla città, assicurandole magari occasioni di sviluppo e, perché no, profitto, e dunque propone convegni internazionale e festival del cinema di fantascienza. Non la prende allo stesso modo uno dei vigili urbani, uomo
taciturno e asociale misantropo, secondo il quale ciò che sta accadendo non è che la conseguenza della rovina che il cervello umano, a differenza di quello degli animali abnormemente evolutosi, sta diffondendo nel mondo.

Ma il dibattito segna il passo: dopo tutto, la perdita della propria ombra, oltre a non riguardare che alcuni soltanto, non pare determinare conseguenze di sorta… Solo successive scoperte ridestano l’attenzione, segnalando una progressione inquietante del fenomeno: da un certo momento in poi i desombrati non recuperano la propria compagna neanche alla luce della luna. Dunque c’è il rischio che il fenomeno segni una progressione dalle conseguenze inimmaginabili…Il sindaco torna in campo: forse è questa l’occasione buona da sfruttare. Tramite le sue conoscenze riesce a far venire a Mirasole il giornalista di una testata nazionale. Risultato: un paginone nel quale si racconta – citando episodi e, quel che è peggio, fornendo particolari che rendono riconoscibili i protagonisti – del sesso sfrenato, incestuoso, perverso cui parecchi fra gli abitanti della città si darebbero abitualmente (e qui l’atmosfera ricorda quella di Signori e signore di Pietro Germi).

Divertita e divertente, la narrazione trova uno sei suoi momenti più felici quando, sempre il sindaco, fa la pensata di invitare il filosofo di fama che va per la maggiore con la sua ombrosa e corrucciata partecipazione a discussioni nelle quali finisce spesso per passare dall’insofferenza all’ira funesta… Il nostro è “il tempo del venir meno”, diagnostica. Un tempo di perdite, di specie animali e vegetali come di valori e fedi, “è il nichilismo che avanza e prosciuga anche le nostre ombre”…

Ma ecco il preoccupante epilogo: dopo aver perso l’ombra, i desombrati perdono anche la voglia di lavorare. Il problema, a questo punto, non riguarda più soltanto la cittadina settentrionale: si teme, a livello politico, governativo, di presidenza della repubblica addirittura, di Unione europea e di Fondo monetario internazionale, che il male possa essere contagioso, divenga una pandemia, manco a dirlo, e dunque finisca per inguaiare la crescita, compromettere il PIL! Occorre un vaccino, inutile dirlo, e non resta che attenderlo da una multinazionale farmaceutica svizzera da anni impegnata nella ricerca di un prodotto capace di suscitare l’istinto lavorativo nelle popolazioni africane – senza escludere, pensa il sindaco, quelle meridionali (ed è il Bevilacqua studioso meridionalista ad ammiccare, a questo punto). Niente da fare: il ritrovato non pare risvegliare la laboriosità sopita ma soltanto il desiderio sessuale (nonostante facesse ben sperare, vista anche la facilità della somministrazione, trattandosi di una supposta).

Sul filo della satira dei discorsi, provvedimenti e critiche che abbiamo conosciuto dall’inizio del 2020, il romanzo approda a una conclusione drammatica ma non seria: il pernicioso, e sovversivo, morbo non è contagioso, ma il destino di Mirasole è inevitabilmente segnato: un’isola di sereno e soddisfatto ozio non è tollerabile.

Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.

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