Fiuto da sbirro e renitenza indisciplinata

Massimo Tedeschi, Il giardino dei cedri. Una nuova indagine del commissario Sartori, La nave di Teseo 2022 (pp. 207, euro 17)

Uno scrittore il cui “immaginario si colloca sulle sponde del lago e racconta una provincia fatta di personaggi comuni e nel contempo esemplari”, nel bene e nel male – come i “fascisti da operetta” che non mancano nei suoi romanzi, vista l’epoca in cui si svolgono. Sembrano parole pertinenti per richiamare la figura dell’autore bresciano, e invece – cambia il lago, quello di Como al posto del Garda – e trovi Andrea Vitali, così come ce lo restituisce il sintetico profilo che in internet se ne può leggere. Ma il parallelo si ferma qui, o comunque approfondirlo è fuori dalla portata di questa nota sull’ultima indagine del commissario creato nel 2016 da Massimo Tedeschi. Le analogie non mancano, e del resto Italico (Italo) Sartori è solo alla sua quinta prova: avrà modo di conquistare – soprattutto da quando le sue storie ci raggiungono nella veste conferitagli da un editore di prestigio e vasta diffusione – schiere di lettori oltre quelle che già si possono dire affezionate al personaggio, ai luoghi, alla grana di storie dall’intreccio sempre coinvolgente (e lineare, il che non è di tutti i polizieschi).

Sempre che di genere poliziesco si possa parlare a proposito di questi romanzi, perché la trama appare per certi aspetti (anche) il pretesto per dire dei tempi, dei luoghi, dei sentimenti – dall’avidità e dal gusto del potere, per quanto di facciata possa essere, all’amore, nelle gradazioni e nelle forme diverse che può assumere.

I tempi, immediatamente precedenti la seconda guerra, sono filtrati dallo sguardo del protagonista, una vecchia conoscenza per chi l’ha seguito nelle sue precedenti investigazioni e che pure non si smette di conoscere meglio, come succede quando si ha a che fare con personaggi veri, e quindi complessi. Eccolo dunque insoddisfatto della semplicità con cui si presenta la scena del delitto, sospettoso davanti all’interpretazione che ne pare inevitabile (omicidio di un giovane pescatore e successivo suicidio della giovane contessa che lo riceveva): “Tutto consigliava a Sartori di liberarsi alla svelta di quel caso. Tutto, meno il suo fiuto da sbirro”, fiuto che si coniuga con una rigorosa “mentalità deduttiva” e con una curiosità “irrimediabile” che lo induce a “farsi un concetto personale sulla sostanza umana” della vicenda su cui sta indagando. Perché Sartori non è un detective freddo e impassibile: la realtà è per lui sempre mediata da una passione civile che va oltre il giudizio sul regime (“Disperdere i superbi e innalzare gli umili, questo avrebbe voluto fare nella vita”), ma è comunque attenta a ciò che accade in Germania – con la sparizione, l’assassinio, la deportazione di intere famiglie di ebrei – e in Italia, con le leggi razziali, vere e proprie “schifezze” ammannite ai ragazzi nelle scuole. La sua posizione, più che in dichiarazioni o adesioni politiche, si traduce in una “personale insubordinazione”, in un “nicodemismo strisciante” e insieme in “una renitenza assai poco disciplinata” che lo portano a compiere scelte rischiose, come l’aiuto prestato al mercante ebreo-tedesco in missione sul Garda per procurarsi i cedri necessari alla celebrazione della festa di Sukkot.

Se i tempi ci si offrono attraverso la lente con cui il commissario li guarda, non meno vissuti sono i luoghi, dal golfo di Salò alla riviera bresciana fino a Gargnano, con l’immediato entroterra delle sue frazioni. Luoghi fra cui spiccano le limonaie abbandonate o in fase di abbandono, sulle quali gli occhi di speculatori senza scrupoli si sono già posati – snodo che si rivelerà decisivo, questo, per la soluzione del caso. Luoghi che fanno corona a un “bendidio d’acqua” che, si fa notare con la finezza dello storico sociale, i gardesani usano “per tutti gli usi pratici possibili e immaginabili” senza tuttavia sognarsi di “tuffarcisi dentro” come amano fare i forestieri, come non perde occasione di fare lo stesso Sartori, amante del nuoto, ma anche dell’agiata vedova che in questo modo può prudentemente raggiungere nella sua villa di Portese.

E siamo così all’amore, mai platonico, motore non solo di spedizioni discrete, come in questo caso, che si risolvono in occasioni di un piacere travolgente quanto limpidamente condiviso sin nelle allusioni che i due si scambiano, ma anche – così per il federale e la bellissima donna che si è portato dall’Abissinia – nell’esercizio di un potere acquisito con la forza e che nella sua possessività rasenta la schiavizzazione.

C’è poi altro in questo romanzo, ancora un altro tipo d’amore, nel quale attrazione e fascinazione, scambio sessuale e dichiarazione sempre rinnovata del proprio sentimento si rendono indistinguibili, come nel romanzo di Lawrence, nella relazione fra il guardiacaccia e Lady Chatterley: una sorta di déjà vu per il nostro commissario, che non scorda le sue letture, solitamente estranee a un poliziotto, mentre è alle prese con la fine tragica di un amore tanto simile a quello dei due amanti inglesi.

Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.

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