L’imperativo genealogico

Elisabetta Abignente, Rami nel tempo. Memorie di famiglia e romanzo contemporaneo, Donzelli 2021

“Quel che possiamo fare per coloro che ci hanno preceduto è ricordarne i nomi e raccontarne le vite”. Ma non si tratta solo di loro. Quelli che scrivono della propria famiglia lo fanno “per capire sé stessi attraverso uno studio anatomico della cellula della società che li ha generati” – “nella consapevolezza che una personalità si forma in continuità e in opposizione a chi, sulla linea generativa la precede e la segue” – e insieme per “guardare alla storia collettiva di una comunità, di un paese, di un popolo”. Lontane dal ripiegamento intimistico, come dal narcisismo che si può annidare nella nostalgia, scrivendo “memorie di famiglia” autori fra loro diversi hanno messo al mondo romanzi intramontabili, componenti essenziali del nostro patrimonio culturale: da Lessico famigliare dei Natalia Ginzburg alla trilogia del Labirinto del mondo di Marguerite Yourcenar, dai Buddenbrook di Thomas Mann a Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez, da Gli anni di Annie Ernaux fino al recente, possiamo aggiungere, “ritratto di una famiglia esperta in autodistruzione” in cui consiste  – secondo la definizione dell’autore stesso –  Il libro delle case di Andrea Bajani (ne parliamo qui). Romanzi diversi, segnati da una mix a proporzione variabile fra testimonianza fedele e libera finzionalità, a seconda che la storia riguardi i tempo recenti della famiglia, facendo quindi della memoria personale dell’autore la fonte principale, o risalga invece nel tempo di diverse generazioni come avviene nelle saghe, in cui chi scrive si fa storico e persino archivista e nel contempo non può che lasciare spazio alla propria immaginazione letteraria.

In ogni caso, oltre al “contenuto storico-affettivo del racconto”, quel che connota opere simili è “una sfida di tipo compositivo, in grado di generare continue riflessioni di metodo, precise scelte di tipo stilistico e linguistico”. Ma anche di esprimere motivazioni senza le quali non si spiegherebbe la persistenza di quello che si può definire un “imperativo genealogico”, se non addirittura “un’ossessione dell’origine”: da un lato il desiderio di stabilire una continuità in un mondo come il nostro, “pervaso dal senso della fine”; dall’altro, l’esigenza, più o meno consapevole, di un “ripensamento dell’istituzione familiare” da parte di chi “si ritrova a vivere una condizione molto diversa da quella degli avi (dalla vita da single al divorzio, alla vedovanza)”.  La memoria famigliare sarebbe così investita di un ruolo che va oltre la sfera letteraria, aprendo alla “ricerca di un punto di approdo in un’epoca che vede progressivamente sgretolarsi i confini tra vita pubblica e vita privata, generando un continuo senso di disappartenenza e isolamento” che riconosce, appunto, nel romanzo a sfondo familiare “una forma di compensazione rispetto alle incertezze del presente”.

A queste notazioni di cornice, che offrono i riferimenti necessari a comprendere l’affezione a romanzi come quelli citati, fa seguito la lettura di alcuni di essi, un’occasione per ripercorrerne la trama, risentirne l’atmosfera, individuarvi le scelte operate dall’autore. E allargare, anche, lo sguardo a opere meno celebrate, sino a includere graphic novel come Maus di Art Spiegelman o Persepolis di Marjane Satrapi, nei quali “il necessario affrancamento e insieme l’indissolubile legame con le proprie radici trovano nell’intreccio tra parola e illustrazione una formula narrativa di straordinaria efficacia”. La sottolineatura e l’analisi di momenti topici della memoria familiare – il pranzo che riunisce genitori e figli – e di personaggi solo apparentemente secondari ma in realtà portatori di punti di vista rivelatori, come i domestici, concludono il libro. 

Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.

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