L’infanzia che è in noi

Massimo Recalcati, Ritorno a Jean-Paul Sartre. Esistenza, infanzia e desiderio, Einaudi 2021 (pp. 250, euro 20)

L’infanzia non è una stagione della vita come le altre. È il passato che non passa e ci segue tutta la vita chiedendoci di essere continuamente rielaborata. È la condizione iniziale di passività che tutti viviamo, non c’è esistenza che sia priva o si sia potuta disfare della propria infanzia; è il tempo nel quale gli altri – l’Altro, non solo i familiari, ma il linguaggio e le circostanze sociali, economiche, culturali che chi nasce si trova bell’e fatti – imprimono in noi tracce indelebili. Ma non immodificabili. Qui sta il punto. Non siamo semplicemente il risultato di quel che gli altri hanno fatto di noi, ma ciò che abbiamo fatto, e non cessiamo mai di fare, di quello che gli altri avevano fatto di noi: in polemica con il determinismo e il potere inscalfibile del passato che Sartre rimprovera a Freud, la costituzione (ossia quel che gli altri han fatto di noi) diviene poi il terreno di una personalizzazione che fa di ognuno di noi l’essere unico e irripetibile che siamo.

Più delle grandi opere filosofiche, più dei romanzi e dei drammi, è nelle biografie che Sartre ha dato corpo a questa intuizione, in quella su Flaubert soprattutto (L’idiota della famiglia, recentemente riproposto dal Saggiatore con la prefazione dello stesso Recalcati*), dove l’indagine si concentra sulla “scandalo” insito in una trasformazione che fa di un bambino ritardato, qual era considerato il piccolo Gustave, in un grande scrittore, ricostruendo il momento decisivo di questo radicale mutamento: la “scelta originaria” (e originale, trattandosi di una scelta singolare, che mette al mondo e spiana la strada alla singolarità dell’individuo Flaubert). La scelta di una strategia capace di non soccombere al “destino” stabilito durante l’infanzia, in famiglia, declinandone i termini in modo nuovo. Ma attenzione. Non si tratta di una trionfante né tanto meno spettacolare trasformazione, bensì di un “piccolo scarto”, di una ridefinizione di sé condotta all’insaputa del soggetto stesso, non perché inconscia, ma perché non frutto della sua volontà consapevole né alla portata della sua conoscenza diretta (notazioni che echeggiano, pur muovendo da punti di vista diversi, quelle che si trovano nello Jullien di Una seconda vita**). E l’esito, quale sarà? Nel caso di Flaubert una dedizione alla scrittura e all’Arte per l’arte” in cui la “nativa” malinconia, il “desiderio di morte” respirato insieme alle cure attente ma non amorose della madre, troverà modo di assestarsi, e di esprimersi come sappiamo.

Flaubert, Baudelaire, Tintoretto, Genet, e lo stesso Sartre (quello del capolavoro autobiografico, Le parole, recentemente ripubblicato): solo a personaggi di tale eccezione è applicabile la “psicanalisi esistenziale” del filosofo francese? No, la dialettica che dura l’intera vita fra costituzione e personalizzazione attraversa tutti, anche coloro la cui scelta è quella di sfuggirvi, in vario modo, spesso cercando di coincidere con la propria figura sociale. Con quello che gli altri han fatto e fanno di noi. È la condizione della “malafede”, questa. La scelta di abdicare alla propria “soggettivazione”, di ignorare la propria singolarità.

L’infanzia come fondo insopprimibile e mai fino in fondo scandagliabile dell’esistenza in quanto sempre “traumatico” Non come età dell’innocenza e della spensieratezza ma neanche come zavorra che determinerà la persona a venire; l’infanzia come condizione e condizionamento personali che intersecano quelli sociali. E qui non è da Freud ma da Marx che Sartre prende le distanze: “I marxisti di oggi si occupano solo degli adulti: si direbbe, a leggerli, che nasciamo nell’età in cui guadagniamo il primo salario; si sono dimenticati della propria infanzia”. Così rileva Sartre nelle sue Questioni di metodo, testo cardine nel quale il superamento, non l’abbandono, del suo esistenzialismo umanistico, permette di accogliere le prospettive della psicanalisi e del marxismo nel momento stesso in cui tuttavia le precisa, ridefinisce, inquadra entro un nuovo orizzonte. È questo il Sartre cui Recalcati ci invita a ritornare, confrontandolo da un lato con quello della Nausea e dell’Essere e il nulla, dall’altro con le acquisizioni postfreudiane, di Lacan in primo luogo.

Entro queste coordinate, e solo dopo l’analisi accurata del “paradigma-Flaubert”, si collocano le riflessioni della seconda parte del libro, e a balzare in primo piano sono allora la natura del desiderio umano (desiderio del riconoscimento dell’altro, desiderio che l’altro esprima desiderio nei nostri confronti ma, anche, desiderio che pur nascendo dalla nostra strutturale mancanza porta in sé la pulsione a negarla, questa mancanza, quasi fosse possibile coincidere con sé stessi, nella forma paradossale di una “pietra dotata di coscienza”.

Dopo il desiderio, gli altri, gli altri che ci abitano, gli altri di cui siamo fatti e il cui sguardo ci segue e ci condiziona anche quando non sono presenti. E l’amore infine, il “paradosso” dell’amore, che pretende di sfuggire al desiderio di appropriarsi dell’altro facendosi capace di rispettarne l’alterità.

Il desiderio, la relazione con sé stessi e con gli altri, l’amore: terreni di una possibile “conversione”, di un lavoro che – indipendentemente dai suoi esiti – aspiri a illuminarli di senso.

Un libro denso, certamente impegnativo, in conclusione, questo di Recalcati, ma in grado di trasmettere riflessioni che vanno oltre i recinti del sapere filosofico e del dibattito psicanalitico per raggiungere la storia, l’esperienza di ognuno.

*Jean-Paul Sartre, L’idiota della famiglia. Gustave Flaubert dal 1821 al 1857, Il Saggiatore 2019
**François Jullien, Una seconda vita. Come cominciare a esistere di nuovo, Feltrinelli 2017, in queste note il 31 dicembre 2017
***Jean-Paul Sartre, Le parole, Il Saggiatore 2020

Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.

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