La nostalgia come attività creatrice

Vito Teti, Nostalgia. Antropologia di un sentimento del presente, Marietti 1820, 2020 (pp. 296, euro 20)

Un tema che non cessa di sollecitare ridefinizioni, quello della nostalgia. Ne è testimone la ricchezza di contributi che in proposito si susseguono, come quelli di Antonio Prete* e di Eugenio Borgna**, citati fra molti altri nel libro di Vito Teti. Sono diversi i punti di contatto fra queste ricerche – dalla ricostruzione del cammino che ha portato a vedere nella nostalgia, inversamente a quanto occorso alla depressione, non più una malattia ma un sentimento, alla constatazione che di un sentimento necessario, e non regressivo, si tratta –, ma quella che Teti ci propone si distingue per diversi aspetti. La sua ampiezza, certamente, che non sta solo nella varietà dei punti di vista richiamati ma anche in un incontro – praticato, non semplicemente auspicato – fra lo sguardo dell’antropologo con quello dello storico, storico della società ma anche della letteratura (come dimostrano i riferimenti puntuali ad Alvaro, Pasolini, Roth, Kundera…). Ma tutto questo non basterebbe ancora a spiegare la capacità di coinvolgere il lettore che caratterizza questo libro, una capacità che credo si inscriva entro due coordinate rinvenibili nel testo: da un lato, il taglio autobiografico che ricorrentemente vi affiora; dall’altro, l’efficacia con cui via via chi legge è indotto a prendere consapevolezza che la nostalgia, al di là delle sue personali esperienze, lo riguarda in quanto “sentimento del presente” – come recita il sottotitolo.

Sin dalla Confessione di un nostalgico, posta a premessa, leggiamo che è stata la diretta esperienza dell’autore a suggerirgli che “La nostalgia non è il sentimento degli anziani ma comincia da bambino”, dal bambino che aveva nostalgia per il padre emigrato dalla Calabria al Canada, come tanti del paese: “Ero nostalgico di ciò che era stato, e conoscevo attraverso i racconti e le storie del passato, e di ciò che doveva ancora venire”, “Familiarizzavo con la nostalgia di un tempo passato e perduto che non avevo mai vissuto”. Di qui la motivazione profonda “a studiare le figure della nostalgia e della melanconia nella tradizione occidentale e anche nel folklore, e a scriverne molti libri”, e insieme un convincimento decisivo: “sentivo anche che nulla come la nostalgia mi rendeva vitale, inquieto, attivo, mobile tra passato e presente, tra mondi lontani, che io collegavo”. La nostalgia – dunque – come “risorsa per affrontare il tempo presente e per immaginare il futuro”. Il tempo presente, non solo la propria vita, perché la nostalgia “non è stata la malattia di questo o quell’individuo, di questo o quel gruppo sociale, ma ha accompagnato l’origine, lo svilupparsi, l’affermarsi del mondo moderno”, facendosi “nel tempo una strategia, un’attività creatrice”, “coscienza polemica nei confronti dello spaesamento determinato dalla società moderna” e allo stesso tempo “disperazione e speranza per il futuro”. “Questo libro sulla nostalgia – infatti – nasce anche dal bisogno di segnalare il rischio della fine del mondo. La nostalgia intercetta il pensiero apocalittico e il pensiero utopico”, avendo “in realtà per oggetto l’irreversibilità del tempo”, “il sentimento moderno dell’impossibilità di tornare indietro”. Di tornare all’infanzia e alla giovinezza, come già Kant aveva intuito, età della vita che è umano rimpiangere ma che in realtà vanno via via confondendosi con “un tempo sognato, immaginato”, mai vissuto davvero.

L’analisi non corre comunque mai il rischio di farsi astratta trattazione di evoluzioni giocate tutte nel campo della cultura: ad ancorarla alla concretezza dei luoghi e delle storie è il riferimento costante ai paesi “trascurati e in abbandono” dell’entroterra appenninico, cui Teti – insieme ad autori come la frequentemente citata Antonella Tarpino – ha dedicato diversi studi e di cui in queste pagine mette in luce la vicenda, segnata dal confronto stretto fra la nostalgia di chi è partito e quella di chi non ha lasciato il paese, perché “La nostalgia dell’altrove riguarda anche chi è rimasto e assiste alla fine del mondo in cui è nato”, “melanconico abitatore di un mondo da cui non si è mosso” e “nostalgico sognatore di un mondo che non conosce”.

È un libro su cui tornare e tornare ancora, questo; un libro che non dice tutto quel che ha da dire alla prima lettura, perché non è facile ammettere che “Siamo tutti altrove. Siamo tutti esuli. In esilio da un tempo che più non ci appartiene”, né lo è rispondere a un dubbio che pare fondato: “Non sarà la nostalgia la condizione naturale e culturale del sapiens?”

Quel che è certo è che ciò di cui la nostalgia è segno è “un bisogno da interpretare” – tanto più in questo presente sospeso della pandemia –, un bisogno che non può essere più o meno interessatamente frainteso né dichiarato superato – in nome di una “anostalgia” che dilagherebbe nel modo contemporaneo –, ma chiede gli sia dato “un nuovo senso, magari un altro nome”, nella prospettiva di farsi capaci di uno sguardo diverso, di “un sorriso bagnato appena da una tristezza generosa che sappia trattare con cura le persone, i luoghi, le cose”.

*Antonio Prete, Antonio Prete (a cura di), Nostalgia. Storia di un sentimento (Nuova edizione ampliata), Cortina 2018
** Eugenio Borgna, La nostalgia ferita, Einaudi 2018

Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *