«Se non ora, quando?»

Impossibile
è la definizione di un avvenimento
fino al momento prima che succeda.
Erri de Luca

La storia ci ha offerto tante occasioni per rispondere a questo interrogativo e troppo spesso l’abbiamo ignorato o abbiamo dato risposte sbagliate, risposte che hanno contribuito a preparare la situazione di oggi.

Galileo disse: «Dietro ogni problema c’è un’opportunità»… e forse è questo il momento in cui un problema diffuso e doloroso può spingerci a cercare opportunità inedite.

E se questa società “sfilacciata”, alla quale nel tempo siamo arrivati, ritrovasse nel contesto attuale i motivi per ricompattarsi?

E se la condivisione di un’emergenza così inaspettata e invasiva, fin nei più elementari gangli della vita personale prima ancora che sociale, ci facesse riscoprire di esser parte di un “tutto” globale, di appartenere, ad ogni latitudine, alla stessa Terra, di essere un tutt’uno con l’intera umanità?

La natura, la Madre Terra, la Pachamama, non ce la fa più e ci “avvisa” per le conseguenze che il suo sfruttamento insensato e planetario potrà portare… non una ribellione, ma una richiesta d’aiuto con continui “avvertimenti” per evitare catastrofi peggiori. Forse è il suo modo per poter “respirare”, costringendo alla quarantena non tanto auto e aerei, ma abitudini consolidate, errati modelli di consumo e di sviluppo.

Il filosofo Rupert Read parla di una “meravigliosa coincidenza”:

«È una meravigliosa coincidenza che quasi tutto ciò che dovremmo fare per fronteggiare l’emergenza climatica ed ecologica coincida esattamente con ciò che dovremmo fare per migliorare le nostre vite e incrementare i nostri mezzi di sussistenza, per affrancarci dalla triste condizione in cui ci troviamo attualmente».

Oggi è emersa, senza ombra di dubbio, la stretta interdipendenza tra essere umani ed ecosistemi come “fattore naturale” e solo ora, forse, ci rendiamo conto che i nostri “destini” sono intrecciati, interconnessi.

Siamo una rete fisica, materiale: il momento attuale ci offre l’occasione di comprendere che abbiamo dato troppa attenzione all’“io” e ben poca al “noi” e ci accorgiamo ora che l’“altro” è fatto anche di “te”, che siamo parte di qualcosa che abbiamo ritenuta estranea a noi stessi.

«Siamo davvero una specie animale, legata in modo indissolubile alle altre, nelle nostre origini, nella nostra evoluzione, in salute e in malattia» (David Quammen). Questi virus sono l’inevitabile risposta della natura all’assalto dell’uomo agli ecosistemi e all’ambiente.

“Siamo tutti sulla stessa barca”… e se vi “saliamo” nel momento della nascita, non abbiamo più la possibilità di “scendere”, non abbiamo, in questo caso, alternative, il più ricco come il più povero.

Più distruggiamo ecosistemi, più consumiamo risorse in modo scellerato, più favoriamo virus – ed altro – ad espandersi fuori dal loro habitat naturale e venirci sempre più vicini.

Ogni attenzione è accentrata su noi stessi, sul nostro spazio, sul nostro interesse… tutto il resto, dalle persone a realtà oggettive, viene ignorato: ora il coronavirus ha messo a nudo la nostra vulnerabilità.

I giochi della finanza, dei mercati, della politica sono rimasti traumatizzati; e il sistema capitalista, le sue misure di riassetto, le sue “troike”, i suoi programmi di austerità, gli infiniti sistemi di divisione… a cosa sono serviti?

Una strategia che ha diffuso i terribili virus di individualismo, egoismo, indifferenza, violenza; ha favorito l’interminabile sonno della ragione e della coscienza; ha attaccato i rapporti sociali, la dignità e i diritti; ha fatto di tutto per distruggere cultura e bellezza… ed oggi si trema dinanzi a un “nemico” che mette in ginocchio borse ed economia, che (democraticamente) mette a rischio la vita di tutti attraverso un fattore a cui nessun essere vivente può sfuggire: il semplice respirare!

Certo, chi vive per strada, i senza fissa dimora, tutti coloro che sono costretti a trasgredire la legge dell’#iorestoincasa – perché una casa non ce l’hanno –, tutti coloro ai quali è impedito di recarsi ad una mensa dove ricevere un po’ di cibo, i clandestini di ogni storia e geografia, chi deve sopravvivere nell’inferno di qualche campo profughi… è più esposto, rischia di più, ma nessuno è “immune”, tutti siamo in pericolo, certo con più o meno possibilità di esser curati, ma non è sicurezza sufficiente.

Gli attuali “re Mida” si rendono conto che il loro “oro” accumulato e sottratto alla vita non è una protezione assoluta e potrebbero essere a rischio quasi come l’ultimo dei clochards?

Si grida al pericolo di una crisi globale, le borse crollano, sull’altare dell’economia finanziaria (e sterile) si bruciano in un attimo miliardi e miliardi sottratti al rispetto della vita umana e della natura, chiusi in paradisi fiscali che proteggono sì il denaro, ma non possono assicurare la protezione dei suoi proprietari perché la vita non si può, non si lascia comperare! Dice un detto cinese: “il denaro può pagare il medico ma non comperare la salute”.

E tutto questo per un essere minuscolo, invisibile, che non rispetta nessuno: allora, forse, non tutto andava bene se qualcosa molto più piccolo di un granello di sabbia rischia di inceppare l’intero meccanismo globale.

Chi ha, oggi, il coraggio di affermare: «non ci sono alternative»?

E, “se non ora, quando” è il tempo per scrollarci di dosso i luoghi comuni sparsi a piene mani, con mille mezzi diversi, dai poteri forti, e cercare, insieme, alternative che garantiscano la vita e non mettano a rischio la sopravvivenza dell’intero pianeta?

Stiamo sperimentando una realtà “rarefatta”, confusi dinanzi alla limitazione o rinuncia di modelli e ritmi abituali.

Questa situazione che ci chiude in casa, che limita i nostri spazi può essere l’occasione per aprirci a nuove dimensioni, per scoprire le alternative che ci possono salvare insieme all’intera umanità.

Per metterci al sicuro da tutto ciò che per interesse altrui ci danneggia, dobbiamo immaginare altri modi di vivere, costruirci parametri diversi, nuove visioni del mondo, nuovi ordini, ritrovare valori messi da parte e che oggi si rivelano essenziali.

Dobbiamo ricostruire quel “vecchio” orizzonte ignorato, trascurato per correre dietro a visioni, rivelatesi poi miraggi, per ascoltare parole e messaggi, dimostratisi oggi pericolosi canti di sirene; quell’orizzonte in cui si riflettono desideri e bisogni, sogni e sconfitte, certezze e dubbi, speranze e utopie della nostra vita personale e dell’esistenza comune della società e del mondo.

Mai come oggi sentiamo l’incontro come “bene comune”, indispensabile a tutti; la mancanza di contatti quotidiani (anche quelli meno piacevoli) ce ne fa sentire la preziosità.

Pietro Calamandrei affermò: «La libertà è come l’aria, ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare»… aggiungiamo a ”libertà” il nome di persone, situazioni, “cose”… che ora ci mancano per ricordarcene in un futuro (il più possibile vicino) in cui potremo scegliere tra la vecchia società, i vecchi modelli del pre-virus e un progetto nuovo da costruire insieme.

Lasciamoci vincere da un “contagio emotivo” in cui nel sentirci tutti vulnerabili acquistiamo la coscienza di far fronte comune perché tutti coinvolti: o ci salveremo insieme o rischieremo insieme di esser vinti dal sistema che abbiamo costruito o, per lo meno, ci domina.

Non può, non deve essere un “sogno” una società basata su condivisione, responsabilità sociale, ri-costruzione di un altro modello di comunità, una nuova socialità che crea reti di rapporti sempre più vasti, l’acquisizione e/o la conferma di un’etica che sostenga il cambiamento verso un reale e universale buen vivir.

La storia ci ha insegnato che muri e barriere non servono e la possibilità di “chiudere”/“chiudersi” non è che un’illusione.

È l’ora di tener viva l’utopia di un futuro migliore, un’utopia che deve trovare spazi e tempi, qui ed ora, in questi momenti difficili o non troverà terreno dove attecchire.

È necessario sfruttare questo tempo, coglierne le opportunità positive, dar spazio alla riflessione, al pensiero, ad esaminarsi ed esaminare con la propria testa senza lasciarci coinvolgere o condizionare da chi fa solo il proprio gioco e interesse.

La paura, l’ansia, le limitazioni, i disagi devono servire a far prender coscienza, a introdurre stili di vita, di pensiero, di relazioni con se stessi e con gli altri che cambino alle radici le nostre società… se aspettiamo domani, se “ora non è il momento”, se rimaniamo troppo attaccati a quanto finora ci è stato normale… non troveremo più, neppure “dopo”, gli stimoli necessari per un cambiamento radicale.

Troppe voci (e interessi) diffondono idee pericolose, non cadiamo nella trappola delle tanto sbandierate “anti-utopie” per un domani intessuto di “passioni tristi” (Baruch Spinoza) come se l’oggi fosse un anello debole della nostra storia, un gradino instabile tra un passato visto ora come “felice” e un futuro avverso.

La maturità personale, politica, culturale, sociale si misura sulla capacità di accettare il tempo che ci tocca vivere, il che non significa affatto “arrendersi” ad esso.

Il virus ha messo sotto gli occhi di tutti che “il re è nudo”, ha fatto emergere la fragilità del nostro sistema, prima fra tutto l’economia attuale, del resto già da tempo in profonda paranoia, come dimostrano le sue ricorrenti crisi che stiamo sperimentando da anni ed anni.

L’economia ha bisogno di “corpi” fisici, materiali, di uomini e donne reali, per quanto “virtuale” voglia apparire non può prescindere dal “fattore umano”, quel fattore umano che nega, sfrutta, di cui si serve in mille modi diversi, calpestando diritti e progetti di vita… ma una separazione, una sua negazione è assolutamente impossibile.

Questo (dis)ordine “astratto”, anch’esso così vulnerabile, che afferma di non essere soggetto a limite alcuno, oggi dimostra la falsità delle sue affermazioni: ha bisogno di noi, di ognuno di noi… allora, dobbiamo renderci conto del potere che abbiamo per arrestare il corso del suo progetto di morte.

Così come il consumo non può essere confuso con la “felicità”, non si può pensare allo strapotere dell’economia come garanzia per l’esistenza, come difesa del valore della vita, del vivere insieme in società, dalla più piccola, familiare, al sistema-mondo.

Le “vestali del pensiero unico” affermano che l’economia la decidono i “numeri” (ed oggi quali “numeri” siamo costretti a contare!!!) non il bene comune dell’essere umano; dinanzi a questa “tecnica imparziale” la politica non può essere decisa dai cittadini con le loro scelte e partecipazione, ma soltanto dai poteri economici. I governi servono soltanto a imporre le misure indispensabili per non “far saltare il banco” che – dicono – sarebbe la fine per tutti (sic!!!).

Riprendiamo il contatto con noi stessi e con gli altri, riconsideriamo la nostra visione del mondo, le nostre posizioni culturali, politiche, sociali rileggendole all’interno di un sistema che sta portandoci alla fine e forse scopriremo che ciò di cui sembrava aver assolutamente bisogno, che avevamo così paura di perdere, di cui non potevamo fare a meno, la quotidianità convulsa che c’eravamo imposti… forse servivano a complicarci la vita, a renderci più infelici.

È davvero impossibile vivere alla luce dell’essenziale, per un’esistenza piena di senso, più libera da ansie e desideri spesso irrealizzabili, più solidale, più semplice e serena perché ci rifiutiamo di essere burattini nelle mani di chi si serve dei nostri “bisogni” indotti per il proprio profitto e interesse?

E riscopriremo la grande ricchezza del dare più tempo a ciò che ci piace, alle persone, ai valori che forse abbiamo soffocato dentro di noi ma che sono più che mai vivi, all’infinita bellezza che la vita ci offre.  

Concludo con alcune espressioni[1] che risalgono a tempi lontanissimi, ma quanto mai attuali oggi:

«E se io sono solo per me stesso, cosa sono?

E se non ora, quando? Se non io, chi?

Se non così, come? Se non qui, dove?»

Renato Piccini
Paola Ginesi
marzo 2020


[1] Rabbino Hillel fine I sec a.C.-inizio I sec. d.C. – Talmud.

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