Per non dimenticare i giorni del coronavirus

Paolo Giordano, Nel contagio, Einaudi 2020 (pp. 63, euro 10)

Massimo Tedeschi, Il grande flagello. Covid-19 a Bergamo e Brescia, Scholé – Editrice Morcelliana 2020 (pp. 328, euro 19,90)

Perché leggere oggi il piccolo libro di Giordano, perché scegliere, fra i molti nel frattempo usciti, proprio il più vecchio? Eh sì, è uscito solo quattro mesi fa, a marzo, ma era il marzo del nuovo tempo inaugurato dal contagio, e proprio qui sta una buona ragione per leggerlo, se non lo si è già fatto: perché ha preceduto la serie di instant book che ci ha inondato, rivelandosi spesso semplici aggiornamenti di libri usciti prima o che erano lì lì per uscire (e allora aggiungi “covid” nel sottotitolo e magari un ultimo improvvisato capitolo e il gioco è fatto). No, quello di Giordano registra davvero reazioni e ragionamenti in tempo reale: di fronte al primo diffondersi del virus (“Sars-Cov-2” o per brevità “Cov-2”, non “Covid-19”, che è la malattia) l’impressione è quella di una “sospensione dalla quotidianità”, di un “vuoto” che l’autore – come altri, chi c’è riuscito almeno – decide di colmare scrivendo, “per tenere a bada i presagi, e per trovare un modo migliore di pensare tutto questo”. Il che, per lui, significa occuparsi del lato matematico della faccenda, oggi come al tempo della scuola, perché “molto prima della scrittura, la matematica era il mio trucco per tenere a freno l’angoscia”. E difatti, prima che un romanziere, è un fisico, Giordano. Non un virologo o un epidemiologo o un infettivologo come quelli che abbiano ascoltato ogni giorno. Dunque il suo è un punto di vista diverso, e anche questa è una ragione per leggerlo. È lui stesso a sottolinearlo: “la matematica non è davvero la scienza dei numeri, è la scienza delle relazioni”, e “il contagio è un’infezione della nostra rete di relazioni”.

Attenzione però: quello che ci viene proposto è un discorso scientifico, con il suo apparato di concetti e il suo lessico, ma Giordano è uno scrittore, e dunque ci sa comunicare anche speranze e timori. Timori soprattutto, che purtroppo possiamo già veder confermati: “non voglio perdere ciò che l’epidemia ci sta svelando di noi stessi. Superata la paura, ogni consapevolezza volatile svanirà in un istante – succede sempre così con le malattie”. La paura: non tanto quella di ammalarsi, precisa l’autore, quanto quella “di scoprire che l’impalcatura della civiltà che conosco è un castello di carte. Ho paura dell’azzeramento, ma anche del suo contrario: che la paura passi senza lasciarsi dietro un cambiamento”.

 Facile profeta, si dirà, passando oltre. Oppure ci si potrà fermare, meditare su sentimenti e presagi tanto precoci e confrontarli con quelli venuti dopo, e che non abbiamo ancora smesso di sperimentare: “se non abbiamo anticorpi contro Cov-2, ne abbiamo contro tutto ciò che ci sconcerta. Vogliamo sempre conoscere le date di inizio e di scadenza delle cose. Siamo abituati a imporre il nostro tempo alla natura, non viceversa. Quindi esigo che il contagio finisca fra una settimana, che si torni alla normalità. Lo esigo sperandolo”.

Ma andiamo più in là: speriamo, certo, speriamo che il timore di una seconda ondata sia contraddetto dai fatti. Non dimentichiamo però che la pandemia non è (stata?) “un accidente casuale né un flagello”. Non un fatto inedito e irripetibile: “è già accaduto e accadrà ancora”. Perché “i virus sono fra i tanti profughi della distruzione ambientale (…) non sono tanto i nuovi microbi a cercarci, ma noi stanare loro. (…) Il contagio è un sintomo. L’infezione è nell’ecologia”.


Difficile, o quantomeno riduttivo, definirlo un instant book – per quanto “costruito con la tempistica del giornale quotidiano”, come l’autore stesso premette –, perché questo libro è una cronaca dettagliata e documentatissima che diventa pagina dopo pagina storia, dando corpo a un bilancio ponderato, a una riflessione coinvolgente. “È la prima accurata, documentata, ricerca sulla pandemia di questo annus horribilis e indimenticabile”, ha scritto Tino Bino nelle pagine bresciane del Corriere della Sera lo scorso 18 giugno.

E dunque, dalle intuizioni di Giordano alle constatazioni di Tedeschi su questa “vicenda tragica e corale”, al suo riuscito tentativo di “mettere ordine al fiume di notizie che ci ha investito, a volte sovrastato, spesso frastornato dalle settimane iniziali dell’epidemia e fino al 4 maggio”. Questo il periodo esaminato; lo spazio è quello che include le due provincie da subito e con più violenza colpite, Bergamo e Brescia, terreno di straordinarie manifestazioni di “tenuta e coraggio” ma anche di “errori strategici e lacune organizzative, limiti strutturali e scelte sbagliate” che “richiedono – e qui il resoconto si fa proiezione sul futuro immediato che ci attende – risposte approfondite, dettagliate, coraggiose, sempre meglio documentate”.

“Memoriale” si intitola la prima parte, che si propone – per usare le parole del Camus della Peste, citato in esergo – di “dire semplicemente quel che si impara in mezzo ai flagelli”: inutile cercar di rendere la forza con cui si propongono le situazioni richiamate; le testimonianze raccolte – a partire da quella di un medico rianimatore –; la rapida successione delle notizie (documentata anche nel Diario proposto nella terza parte) e la mole imponente dei dati messi a confronto e che non restano mai numeri ma lasciano trasparire la realtà umana cui si riferiscono, quella della “generazione bruciata” degli anziani innanzitutto; i riferimenti a una dimensione, provinciale ma non periferica, in grado – nel caso delle due città lombarde su sui ci concentra l’analisi – di offrire “al mondo il racconto di cosa può rappresentare l’epidemia in terre moderne, dinamiche, tecnologicamente attrezzate, produttivamente all’avanguardia”; le immagini incancellabili che le parole evocano, dagli sguardi muti fra malati e medici ai camion militari carichi di bare il 18 marzo a Bergamo.

L’evocazione cede tuttavia il passo alla considerazione obiettiva, in un’alternanza che avvince e non cessa di alimentare l’attenzione: “cuore del cuore produttivo d’Italia e d’Europa”, Brescia e Bergamo rivelano anche criticità nodali, la qualità dell’aria in primo luogo. Sicché gli studi sulla correlazione fra epidemia e inquinamento atmosferico” sono “molti e controversi” fin dalle prime settimane: è anche questo, il libro di Tedeschi, una mappa, cronologicamente organizzata, dei discorsi che si sono susseguiti e degli argomenti via via balzati all’ordine del giorno a nutrire speranze e timori fin dentro le nostre case, nelle parole che ci siamo scambiati giorno dopo giorno, nelle telefonate, nei messaggi. Uno strumento, quindi, per far memoria di un tempo sospeso, di una durata che sembra eccedere il suo effettivo arco temporale, che ci appare già lontana e allo stesso tempo non ha abbandonato la nostra mente, il nostro umore, gli strati più profondi del nostro immaginario. Uno strumento che sa rispondere alla necessità da più parti avvertita di non dimenticare e al di là delle intenzioni rimuovere quanto accaduto: “Impossibile non pensare a come ricordarlo – scriveva del resto, già alla fine di aprile sul suo giornale, lo stesso Tedeschi – con un segno pubblico, solido ed eloquente”. Come il suo libro, appunto, espressione di una sensibilità individuale, di una capacità affinata nel lavoro di giornalista, di un impegno civile che non tralascia di individuare “il punto di domanda più sostanzioso, più radicale” nelle “sorti del Sistema Sanitario Nazionale e di quello lombardo in particolare”, allargando tuttavia lo sguardo a render conto anche di altri privilegiati punti di vista con le interviste, raccolte nella seconda parte, oltre che ai sindaci e ai vescovi delle due città, anche al medico, all’infermiere, all’infettivologo.
Nulla di meglio delle parole dello stesso autore per sintetizzare, in conclusione, il senso del suo lavoro:
“Dopo in evento così enorme l’esercizio del ricordo non può venir meno.
A ciò si vorrebbe contribuisse questo libro.
Questo diario.
Questo memoriale”.

Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.

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