Sulle tracce di Simenon

Jean-Luc Bannalec, Intrigo Bretone. Omicidio a Pont-Aven, Superbeat 2020 (pp. 233, euro 18)

“Spostati, Maigret. È arrivato il commissario Dupin”: esagera la fascetta di cui il libro si fregia, ma un che di Simenon lo ritroviamo in questo romanzo, non fosse che per l’atmosfera tutta francese che lo pervade. Dupin infatti, dalla sua Parigi, ha dovuto spostarsi in Bretagna, a Concarneau e, contro ogni sua previsione, se ne innamora, di un amore che dura anche dopo che ha risolto il caso: l’omicidio di un albergatore novantunenne seguito da quello dell’erede, nella vicina Pont-Aven. Un luogo leggendario, sede della mitica Scuola artistica dominata dalla figura di Gauguin, meta di pittori che cercavano “il primitivo, il semplice, l’incontaminato e lì trovavano il mondo rurale”, la tradizione: “In fin dei conti, la Bretagna – sostengono i suoi quattro milioni di orgogliosi abitanti – apparteneva alla Francia solo dal 1522, ‘da cinquecento ridicoli anni’.”

Paesaggio e contesto culturale sono dunque assicurati ed è su questo sfondo – qualcosa di più di un sfondo, in vero – si muove il nostro commissario, che quell’ambiente assimila, sì, come un Maigret, che arriva a conclusioni decisive presentando un’attenzione ai dettagli che non saprebbe giustificare, e prende nota anche dei “rituali che la gente s’(inventa) per il corso della giornata” essendo che “in nient’altro – ne era convinto – si (rivela) più chiaramente l’essenza di una persona”. Un Maigret tuttavia che pur amando cibo e vini buoni si scorda a volta di mangiare e s’ingozza di caffè, un uomo nervoso, spigoloso e reticente con i suoi sottoposti, che reprime a fatica reazioni o addirittura espressioni offensive come quelle che a Parigi l’avevano messo in cattiva luce presso i superiori. Non è però un ruvido e trasgressivo Rocco Schiavone, tutt’altro: “gli mancavano quegli eccessi che sembravano essere un requisito, o quanto meno una costante, della sua categoria professionale: consumo di alcol o droga, nevrosi o depressione a livelli clinici, qualche eclatante passato criminale, corruzione di alto livello, o un paio di matrimoni drammaticamente falliti. Lui non vantava nulla di tutto ciò”. E con brevi digressioni come questa, l’autore ci dà la misura di quanto sia consapevole che nei polizieschi quel che si cerca, più dell’intreccio, è ormai una figura originale di investigatore. Quante siano le varianti ancora a disposizione è problema degli scrittori che si provano nel genere.

Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.

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