Il confuso desiderio di non sapere troppo

Fred Vargas, L’umanità in pericolo. Facciamo qualcosa subito, Einaudi 2020 (pp. 216, euro 17)

Se non “prima di cena” – come proponeva Safran Foer (Possiamo salvare il mondo, prima di cena. Perché il clima siamo noi, Guanda 2019, in queste note all’inizio dello scorso dicembre) – comunque “subito”. Perché, confessa l’autrice, anche se “ho il fondato sospetto che avreste preferito vedermi sfoderare un bel poliziesco di pura evasione (…) adesso no, non posso. Una specie di implacabile necessità mi incalza a scrivere freneticamente questo libro”, riprendendo un testo scritto nel 2008 che nel frattempo non ha smesso di essere letto: addirittura, alla Cop24, la Conferenza sul Clima del 2018. E, “visto come stanno andando le Cop” – vedi il fallimento della Cop25 a Madrid, nello scorso dicembre (e per il futuro, il futuro del dopo Covid c’è da sperare?)  –, conviene rileggerlo anche noi quel testo, purtroppo attualissimo: “Madre Natura, stremata, contaminata, esangue, ci chiude i rubinetti. (…) Il suo ultimatum è chiaro e spietato: Salvatemi, oppure crepate insieme a me”. E così scopriamo che di problemi ambientali Vargas si preoccupa “da quando (aveva) vent’anni”. Lo stesso anno, il 1997, in cui diventa ricercatrice presso il Centro nazionale francese per le ricerche scientifiche, scrive il suo primo polar, come dicono i francesi (polar: policier + noir). E allora perché non scrivere un altro “agile libretto dello stesso genere”? Questo che leggiamo ora, appunto. Non semplicemente la riflessione di una scrittrice – che pure non guasterebbe: si veda Amitav Ghosh (La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile, Neri Pozza 2017, in queste note il 17 settembre 2017) sul silenzio assordante della letteratura – e neanche “cazzate da militante esaltata”, ma i risultati di una indagine approfondita, condotta essenzialmente su dati e testi scientifici ricavati dal web. Il che non esclude prese di posizione esplicite e inequivocabili: i Soldi e la Crescita sono i due pilastri di un sistema fatto di multinazionali che comandano e politici che obbediscono. E della Gente naturalmente, di noi insomma, “massa anonima” richiesta di comprare e consumare mentre viene tenuta all’oscuro di quel che dovrebbe sapere.  Certo, siamo a conoscenza del fatto che “la Terra sta male”, ma in modo tanto generico e vago da poter continuare a “vivere spensierati”, “come se alla fine tutto potesse sistemarsi”, senza contare il nostro “confuso desiderio di non sapere troppo”. È questo vuoto di sapere – di cui siamo dunque in parte responsabili –, questa sostanziale incoscienza che il libro vuole contrastare. Senza aggirare il senso di impotenza diffuso: “Mi direte: Ma a parte firmare petizioni, non si può fare niente!” Non è così: le azioni possibili, a portata di noi tutti sono l’altro versante del discorso. Ma “per agire dobbiamo sapere”. E allora via con i dati, ma sempre, programmaticamente, “senza abuso di termini tecnici” e con “un lessico colloquiale standard”.

Senonché i dati citati sono davvero una valanga, e non giova che il discorso non conosca pause e gerarchie, capitoli e paragrafi. Aiutano i corsivi che qua e là punteggiano il testo: “Chiedo scusa, sul serio, per questo lungo elenco. Che però ci permette di capire che lo sconvolgimento di tutti i nostri sistemi di produzione è inevitabile già nella prima parte del secolo!” Le soluzioni, dunque, non sembrano – almeno fino a questo punto – di quelle che ciascuno può tentare: è di riassetti e mutamenti tecnologici che si parla, anche se riserve sostanziali sulla “geo-ingegneria” sono ben evidenziate.

Ma ecco un rimedio, parziale certo ma efficace: usare il meno possibile l’auto (e l’aereo), in attesa di veicoli elettrici (ma se per fabbricarli si usa energia prodotta con fonti non rinnovabili il beneficio è relativo, senza contare il problema dello smaltimento del litio delle batterie). E via con informazioni e numeri e controindicazioni: è una scelta di cui l’autrice non sottovaluta i rischi: “Vi annoiate? È normale. (…) Ma non abbandonatemi proprio adesso…”. Gli ammiccamenti al lettore accompagnano la trattazione di ogni nuovo argomento con relative elencazioni (“Senza insistere troppo a lungo, altrimenti questo libro vi cadrà presto di mano…”), così come gli incoraggiamenti: “Aspettate, non lasciatevi abbattere [dai dati sulla deforestazione], noi possiamo fare qualcosa, e lo faremo”. Visto, per esempio, che “l’Europa è la regione del mondo che, con le sue importazioni, genera più deforestazione in altre aree del globo”, dopo l’olio di palma, mettiamo al bando anche la soia, “primo responsabile della nostra forest footprint”, non acquistiamo legnami tropicali o esotici, non usiamo biocarburanti (ricavati da vegetali la cui coltivazione danneggia l’ambiente di altre parti del mondo).

Ma soprattutto – e qui Vargas è d’accordo con Foer – dobbiamo mangiare meno carne, addirittura il 90% in meno, perché l’allevamento e l’agricoltura che lo consente sono “la prima causa di riscaldamento” e di distruzione di risorse, acqua in primo luogo. E dunque basta con la carne: “senza aspettare un’iniziativa delle autorità. E perché? Perché non ci sarà”, e allora non tanto a un libro come questo –ammette l’autrice – ma ai social occorre far ricorso per divulgare la notizia. Non tacendo gli effetti del consumo di carni (rosse soprattutto) sulla salute: “Ci hanno avvertiti, i ministri della Sanità? No, hanno lasciato che ci ingozzassimo di carni e salumi senza fornirci la minima informazione”. E il pesce, “un tempo considerato, con i suoi omega 3, il più sano degli alimenti”? Anche qui, la disinformazione: si acquista pesce senza essere a conoscenza dei metodi devastanti con cui li si pesca e dell’inquinamento da mercurio degli oceani, sicché “tocca ancora a noi arrangiarci, se vogliamo capire”. Né carne né pesce, dunque? Tutti vegetariani? “Sul fronte della frutta e della verdura – e del vino, ammonisce implacabile l’autrice – c’è poco da stare allegri”, visto l’uso dei pesticidi. E allora ecco le liste dei vegetali che conviene mangiare: “vi serviranno a scegliere meglio frutta e verdura”. Ma la via è un’altra: quella di rivolgersi esclusivamente a prodotti bio, di stagione, a chilometro zero, più cari, come si sa, ma “tocca ai governanti pensarci e sovvenzionarli” in modo da calmierarne i costi. Insomma, sul fronte dell’alimentazione, a conti fatti “noi, la Gente, abbiamo in mano una potentissima leva in grado di modificare le pratiche agricole” e “la presa di coscienza”, almeno su alcuni fronti come quello della proliferazione della plastica, “è in corso e azioni per il futuro sono già quasi operative”. La denuncia circostanziata si coniuga dunque a un moderato ottimismo e, fra una lista e l’altra – c’è anche quella degli alimenti di cui fare proprio a meno –, lo scopo del libro si fa sempre più chiaro: non un’informazione persuasiva, ma un vero e proprio vademecum del consumatore responsabile e, soprattutto, aggiornato.

Senonché il discorso torna poi alle questioni a scala planetaria, ma anche qui qualcosa da fare c’è. Si tratta di ricorrere alle energie alternative, alle fonti rinnovabili: l’importante è non opporre al cambiamento drammatico in corso “il diniego, la rimozione, il rifiuto di sapere, il desiderio di ignoranza”; non assecondare la tendenza della “nostra psiche (a) proteggersi dall’angoscia che suscita un futuro tanto minaccioso”; non iscriversi al partito dei “collassologi” – il termine non richiede spiegazioni –  o a quello più estremista dei “survivalisti”, profeti di “un’imminente catastrofe totale” di fronte alla quale non ci sarebbe che “immergersi nella natura” e “sopravvivere senza comfort” (o costruendosi bunker pieni di scorte, se si è ricchi): “progetti semplicemente idioti, e di una crassa ignoranza”. Ma anche degli “speranzisti” conviene diffidare, non essendo altro che parenti stretti dei collassologi (il sistema è prossimo al collasso, però… chissà…). Eppure – ammette l’autrice – degli speranzisti, in fondo, fa parte anche lei. Lei e i giovani, indisponibili ad accettare l’interessato immobilismo dei governanti. Segue elenco finale – l’ultimo di molti – di quel che tocca fare ai governanti e di quello che possiamo invece fare noi, gente comune, a partire dalla scelta di eleggere solo rappresentanti politici che “presentino un autentico programma ecologico”, di votare “per rappresentanti consapevoli, attivi, sinceri”.

Con il che si ha la prova che la conoscenza più dettagliata può accompagnarsi a un candore disarmante.

Forse, quello che ci si può aspettare da un scrittore è altro: che usi gli strumenti di cui dispone – la letteratura – per intaccare la nostra resistenza a credere davvero a quel che sta accadendo, o quantomeno a cessare di comportarci come se non ci credessimo.

Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.

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