Il piacere di narrare di un grande scrittore

Marina Paino, Il Barone e il Viaggiatore e altri studi su Italo Calvino, Marsilio 2019 (pp. 199, euro 13)

Per i numerosi cultori dell’opera di Italo Calvino la pubblicazione di un libro sul loro autore prediletto è sempre un’occasione per tornare a scoprire punti di vista nuovi, da condividere o con i quali misurarsi comunque. In molti casi, il Calvino che in questi studi si ritrova risulta una figura stilizzata, se non ridotta allo scrittore più interessato ai meccanismi dello scrivere che al piacere del narrare, ed è appunto a riequilibrare questa tendenza critica che arriva questa rilettura del Barone rampante e di Se una notte d’inverno un viaggiatore, i due romanzi più lunghi di Calvino, tanto lontani per impostazione narrativa – tradizionale il primo, sperimentale il secondo – quanto accostabili per l’“impronta volutamente coinvolgente” e soprattutto per la scelta di raccontare “vite di personaggi in qualche modo sovrapponibili a quella dell’autore”: in due sensi. Innanzitutto perché vi si possono rintracciare riferimenti autobiografici, anche se non espliciti, ma connotati da un’indubbia importanza esistenziale per l’autore; in secondo luogo, perché vi traspare una “passionalità” che si rivela nelle “più riuscite rappresentazioni dell’amore e dell’eros che Calvino abbia mai affidato ai suoi libri”. Se è soprattutto nel Viaggiatore che si possono leggere i diversi aspetti dell’esperienza di scrittore, di “uomo di casa editrice” e, certamente, anche di “teorico della letteratura”  – perennemente attratto da Le mille e una notte, luogo della “basilare e partecipata sovrapposizione tra l’esistenza e la fruizione di storie” –, è nel Barone che non solo è facile scorgere in Cosimo una “proiezione” dell’autore, ma è anche possibile ripercorrere allusioni alla propria vicenda personale e “velate riscritture del (suo) romanzo familiare”. È questa la traccia di ricerca che si segnala per un’originalità e un’acutezza di sguardo che raramente si riscontra in altri saggi sull’opera di Calvino. Senza nulla togliere alle “Tre letture per il Viaggiatore”, che costituiscono la seconda parte del libro, né ai tre studi raccolti nell’Appendice, infatti, è nella prima parte – dedicata al Barone rampante –  che ritroviamo una rilettura per alcuni versi sorprendente.   A partire da “un passo poi non confluito nell’edizione del libro, nel quale Biagio, il narratore, richiama un tratto della personalità del fratello: “una componente di rimorso per aver sottratto la sua vita all’immediata comunanza con gli uomini”, altra faccia del suo ininterrotto tentativo di “conquistare un equilibrio tra l’arbitrio ingiustificabile della sua volontà di star sugli alberi e una giustificazione sociale”.  Al di là dell’eco della vicenda di Calvino, con il coinvolgimento diretto nell’attività di partito comunista – e più in generale in quella “lunga dialettica fra ‘militanza’ e ‘fantastico’”  richiamata da un altro autorevole lettore: il Carlo Ossola di Italo Calvino. L’invisibile e il suo dove (Vita e pensiero 2016), –  è proprio in posizioni come questa, nella loro mai risolta complessità – o contraddittorietà, se si preferisce – che risiede uno dei motivi per cui lo scrittore resta attuale, testimone di un modo d’essere che non ha certo perduto le sue ragioni politiche e culturali e, più in generale, esistenziali. Ragioni riassumibili nella convinzione che “per essere con gli altri, la sola via (è) d’essere separato dagli altri”.

La sensibilità dell’autrice si evidenzia tuttavia soprattutto laddove ci accompagna a riconsiderare il rapporto di Cosimo con il padre da un lato e la madre dall’altro e, parallelamente, quello di Calvino con i propri genitori, e dunque la passione agronomica e botanica che li aveva contraddistinti, le loro scelte di vita: “eredità genitoriali che lo scrittore sembra abbracciare e da cui sembra allo stesso tempo prendere le distanze”, e che nel romanzo articola nella figura di un figlio che metaforicamente fa propria la passione per la natura del padre reale – nel mentre lascia su uno sfondo “inconcludente e macchiettistico”  il genitore romanzesco – e rivela invece una vicinanza profonda e sostanziale con quella madre che, da Generalessa austera e distaccata, diventa fulcro di “una storia d’amore riscoperto”, lasciando emergere un’insospettata convergenza fra la determinazione del figlio a rispettare fino all’ultimo il suo stile di vita e il costume della madre reale, per la quale “il giardino, il volontario confino, la passione che si trasforma in dovere” erano state le costanti di una vita.

Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.

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