Morire d’amianto le storie di dolore in un libro

Brescia nel libro di Pietro Gino Barbieri, ex medico del lavoro

Un libro che ha a tratti il sapore di una narrazione e in altri quello di un saggio: è di un ex operaio della Eternit il giudizio, Nicola Pondrano, autore della nota di prefazione. Un operaio divenuto in seguito dirigente sindacale della Cgil ma anche del fondo per le vittime dell’amianto e dell’associazione dei loro famigliari. Nel suo percorso si rappresenta la vicenda, il dramma anzi, raccontato dall’autore, Pietro Gino Barbieri, medico del lavoro dal 1980: «il dramma prevedibile di una strage prevenibile», come recita il sottotitolo di «Morire di amianto». E prevedibile era davvero, dal momento che fin dagli anni Cinquanta era dimostrata l’associazione causale tra amianto e cancro del polmone e dagli anni Sessanta quella con il mesotelioma maligno, un tumore della pleura e del peritoneo.

Asbestosi si chiama la patologia che prelude spesso al cancro: dal greco ásbestos, che significa inestinguibile, e non caso Ludwig Hatschek, l’austriaco che nel 1901 brevettò il «cemento-amianto», chiamò il suo ritrovato Eternit per richiamarne la resistenza eccezionale, la durata addirittura eterna. E Eternit si chiamò la fabbrica sorta nel 1907 a Casale Monferrato e che solo ottant’anni dopo ha chiuso la sua attività dopo aver provocato una vera e propria strage, ancora in corso oltretutto, perché non solo gli operai addetti alla produzione ma anche gli abitanti della cittadina ne hanno subito gli effetti, e li subiscono tuttora essendo che di amianto si muore anche a distanza di decenni. A Casale, ma anche a Brescia: «Nessuno ci aveva informato che l’amianto era un potente cancerogeno» racconta Valerio, ex operaio della ATB, per cui «il rischio amianto non era da noi considerato così grave ma un rischio come altri, come il rumore, la fatica…». Risultato: «Alcuni compagni di lavoro sono morti di mesotelioma maligno dovuto all’amianto respirato in ATB. Non sono molto tranquillo se penso che potrebbe capitare anche a me…». (Viene in mente, sia pure nella sua approssimazione, il murale che i «Gnari di Campo Fera» avevano dipinto a poca distanza dalla fabbrica, vicino all’ingresso del loro luogo di ritrovo: “ATB=TBC”).

Testimonianze come quella di Valerio si alternano a capitoli nei quali si ricostruisce dal punto di vista storico e scientifico la questione e a «box» che forniscono gli elementi essenziali per affrontarla anche al lettore comune. Anche a chi in fabbrica non c’è mai stato, ma non per questo si può dichiarare estraneo ai pericoli che l’esposizione all’amianto comporta, anche quando si tratta solo di un’«esposizione passiva ambientale» come quella che può essere correlata alla protratta vicinanza a coperture di tetti in eternit in condizioni di degrado, o a un contatto del tutto imprevedibile: è il caso di una maestra che con i suoi alunni per anni aveva usato il DAS — la pasta, assai diffusa nelle scuole, con la quale si modellavano piccoli oggetti —ignara che quel materiale contenesse amianto.

Operai al lavoro, nell’Acciaieria della Sider, muniti di protezioni
realizzate con l’impiego di amianto (foro Archivio Ugo Allegri, da La
città, la fabbrica, la memoria
, a cura di Carlo Simoni)

È qui, nella ricostruzione delle diverse situazioni e dei casi più disparati, che la vena narrativa che percorre il libro, animata in primo luogo dalle testimonianze riportate, si complica di un ulteriore traccia che il lettore può seguire con continuità: quella che restituisce le intuizioni via via emerse, gli sforzi — non di rado osteggiati — di appurare la verità, la competenza appassionata con cui Barbieri ha svolto il suo lavoro e sa ora farci partecipi di un’altra storia. La sua, la storia di un percorso professionale che ha conciso con una pratica ininterrotta di impegno civile, e di solidarietà attiva. Un impegno che prosegue, oltre che nella ricerca, nelle consulenze e nelle perizie svolte in numerosi processi penali, occasioni grazie alle quali — osserva lucidamente l’autore — «ho potuto apprendere molto, ricevere interessanti stimoli a sviluppare approfondimenti, conoscere da vicino lo scenario processuale, i valori in gioco, le diverse competenze a confronto e, soprattutto, la grande difficoltà a provare il nesso di causa tra l’esposizione ad amianto e l’insorgenza di patologie» ad esso correlate.

Pubblicato sul Corriere della Sera – Brescia del 30 novembre 2019
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