La forma e il volto della città / Il «Bigio»: e il museo della città?

Dal Corriere della Sera-Brescia del 2 novembre 2018.
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Mettere temporaneamente il Bigio in un museo e intanto proseguire il dibattito per trovare una soluzione condivisa perché – sostiene il Sindaco – «Non è mai accaduto nella storia dei paesi democratici che le statue rimosse dopo le dittature, di cui erano un simbolo, siano state ricollocate. Quella dell’Era Fascista sarebbe il primo caso, non è una banalità»: ecco il punto.

L’affermazione del primo cittadino, riportata da questo giornale pochi giorni fa, arriva dritta al cuore della questione: riportare il Bigio in piazza Vittoria sarebbe una «rimonumentalizzazione». Di fatto. Al di là delle intenzioni. Una rimonumentalizzazione gradita ad alcuni, inaccettabile per altri, innegabile anche da parte di chi si ostina (di questi tempi!) a predicare l’avvenuto tramonto delle ideologie e il conseguente necessario avvento di uno sguardo sul presente depurato di ogni retaggio. Ingombrante, «divisivo» o anacronistico che lo si voglia definire. Ma tralasciamo le prevedibili manifestazioni di soddisfazione o disappunto che accompagnerebbero la ricollocazione del Bigio nel luogo in cui si vide per poco più di un decennio, e stiamo ai fatti: non risulta che in città ci sia chi disconosce il carattere di documento della statua, documento di un periodo che si inscrive nella storia bresciana del ’900, mentre è noto a tutti che larga parte dei cittadini non è disposta a riconoscerle il carattere di monumento.

E dunque: i documenti, quelli materiali in primo luogo, trovano la loro sede naturale nei musei. Qualcuno obietterà che anche il Garibaldi a cavallo nell’omonima piazza è un documento del suo trionfale ingresso in città: certo. Ma i documenti che si trovano nelle piazze si chiamano monumenti, per l’appunto. Museo dunque, ma quale? Se il Bigio testimonia un momento della storia della città perché non dovrebbe essere il «Museo della città» – come fino a qualche anno fa lo si chiamava – ad ospitarlo e ad esporlo? Non mancano museografi colti e assennati che gli troverebbero una collocazione che non interferisca con la struttura storico -architettonica del complesso. In compenso, si otterrebbe il risultato non secondario di far entrare in un museo della città che ha dimenticato la sua vocazione originaria – quella di raccontare tutta la storia di Brescia – un documento, sia pure non particolarmente rappresentativo, della sua vicenda contemporanea, fin ad oggi ignorata.

Un commento su “La forma e il volto della città / Il «Bigio»: e il museo della città?”

  1. Il Bigio: una vergogna per la città di Brescia

    Una città, la città di Brescia, non merita un’offesa simile: la chiamano “Leonessa d’Italia” perché nelle famose Dieci giornate ha resistito all’esercito austroungarico, che schiacciava la libertà degli stati con la tirannia. Tanti bresciani allora, fra cui Tito Speri, sono morti per la loro idea di libertà. E anche Arnaldo era morto per la libertà.

    I loro monumenti non sono distanti da piazza Vittoria, ma ancora più vicino è quello che ricorda, in piazza Loggia, la manifestazione antifascista in cui una bomba ha provocato morti e feriti. Nella stessa piazza si fanno manifestazioni democratiche come quelle del 25 aprile e del primo maggio e, purtroppo, del 28 maggio: contro il fascismo.

    La statua del Bigio che vogliono rimettere in piazza Vittoria l’aveva voluta Mussolini per rappresentare l’“era fascista”: volerla di nuovo lì, a fianco di piazza Loggia, è una cosa grave per la democrazia, una grande offesa per la città di Brescia, una città democratica.

    Franco Pietta

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