Un giorno dopo l’altro: amori disamori e altri fatti della vita

I romanzi di due giovani autori italiani: Emisferi, di Silvia Bonucci, e Un solo paradiso, di Giorgio Fontana.

Silvia Bonucci, Emisferi, Fandango Libri, pp. 270, euro 16,50

La crepa, nel soffitto della loro camera, la vede lei, e se ne preoccupa. Lui no, non dà importanza alla cosa. A questa come ad altre che interessano la moglie.

Sposati da trent’anni, la loro casa si è come tutte riempita di cose inutili che non si sa buttar via, e si è svuotata dei figli, ormai fuori casa. Nel condominio l’avvicendamento delle famiglie ha fatto sì che siano pochi quelli che ancora loro due conoscono.
Fra loro va tutto bene. Come sempre.
Ma è proprio in questa stabilità che s’è insinuata una distanza, ed è anche in questo caso lei a rendersene conto, sia pure non distintamente. Mentre Franco sembra “non avere più prospettive al di fuori della quotidianità”, Elena avverte un distacco sempre più marcato dai fatti di ogni giorno, come se andasse producendosi una separazione fra la sfera emotiva e la razionale, come se i due emisferi del cervello non comunicassero più come una volta. Una volta, quando la loro coppia se l’era immaginata sempre “unita dal divertimento di stare insieme, capace di superare la noia, la routine… E invece, piano piano, era calato il grigio…”.
Ma quando è cominciata? quando s’è aperta le crepa fra di loro, e come è andata dilatandosi? Neanche lei sa trovare una risposta, perché “è difficile non perdere il filo quando si trascorrono insieme più di trent’anni”.

Non è un caso che François Jullien ricorra proprio all’esempio del progressivo disamore che si insinua fra un uomo e una donna per chiarire che cosa sono le trasformazioni silenziose (questo il titolo del suo libro, uscito nel 2010 da Cortina): le trasformazioni che si risolvono in cambiamenti radicali e pure non si percepiscono, sembrano operare indipendentemente da noi. È appunto quello che è accaduto ai protagonisti di questo romanzo, e conferma così la convinzione di Jullien: raccontando, sapendo raccontare le trasformazioni silenziose “la letteratura si prende la rivincita sulla filosofia, perché fa apparire quel che la filosofia (europea) non ha pensato”, vale a dire il lato indeterminabile, indefinibile del cambiamento, il suo non lasciarsi rinchiudere in una sequenza di eventi identificabili e databili.
Sarà paradossalmente un’altra crepa, un ictus che colpisce in lei proprio l’emisfero sinistro – quello cui dobbiamo la percezione del passare del tempo, oltre che l’elaborazione del linguaggio – a riaprire un dialogo fra i due coniugi.
Un evento, quindi, riavvia la loro storia, che un lungo sotterraneo processo sembrava aver irrimediabilmente incrinato.

Giorgio Fontana, Un solo paradiso, Sellerio, pp. 198, euro 14

Eventi sono quelli che segnano anche la vicenda narrata da Fontana: Alessio – giovane con la passione del jazz, impiegato, fra tanti amici e coetanei che un lavoro non l’hanno – si innamora. Appassionatamente riamato, pare, da Martina, la quale però non ha potuto dimenticare l’altro, quello che l’ha tradita e fatta soffrire, ed è infatti da quello che lei finirà per tornare. Di qui ha inizio la storia di una sofferenza che dapprima cerca di rifugiarsi in viaggi senza meta, poi nel vagabondaggio in una Milano desolata, sempre più specchio dello stato d’animo del protagonista, e in seguito nell’alcolismo, nell’uso di psicofarmaci, fino all’annichilimento di sé, e nella sparizione, infine.
Ma la storia è più complessa. Amore e abbandono, sì, ma l’incontro con Martina ha portato Alessio a sentire, per la prima volta, di “voler assolutamente vivere”, e a scoprire che il contrario dell’amore non è l’odio, ma il buon senso, “lo stesso buon senso che l’aveva guidato negli anni” e l’aveva fatto approdare alla scelta di un “dolceamaro contentarsi”, come lui stesso aveva definito la propria strategia di vita. L’amore l’ha portato a “disertare dalla sua storia”, nel momento in cui ha compreso che “la fonte autentica della sua storia stava proprio nel fatto di essersi reso inerme”. Perché amare significa questo: rendersi inermi, abbandonare le difese che si erano costruite fra sé e il mondo.

L’innamoramento ha dunque interrotto, addirittura invertito, un processo che aveva lentamente plasmato l’anima del protagonista, inconsapevole della propria rinuncia al mondo e pure in quella asserragliato con il disincanto prudente che non si supporrebbe in un uomo di neanche trent’anni.
È la storia non raccontata, nella sostanza, ma che il racconto presuppone, ed evoca con discrezione, a reggere la trama – apparentemente elementare – di questo racconto.

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