Un antico rimedio: migrare

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Gaia Vince, Il secolo nomade. Come sopravvivere al disastro climatico, Bollati Boringhieri 2024 (pp. 288, euro 27)

“Un mondo in cui tutti sono profughi: non solo i disperati che in proporzioni inedite abbandonano i paesi del Sud del mondo, ma anche i fortunati che ne abitavano quella porzione che chiamiamo Occidente e sono ora costretti anche loro a rischi e fatiche mortali nel tentativo di raggiungere i paesi più settentrionali dove esiste ancora l’acqua”: Bruno Arpaia, nel suo romanzo Qualcosa, là fuori (Guanda 2016, in queste note il maggio 2016) raccontava non di un day after, non di un terribile inatteso domani, ma di un oggi portato alle estreme conseguenze. Estreme ma prevedibili fin d’ora. Le conseguenze del cambiamento climatico che si abbatteranno su un mondo che non le ignorava ma non le ha volute evitare.

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Il tempo, la vita, gli altri / Frieda Hughes

“Penso alla morte – non perché sono morbosa ma perché sono pratica e la morte è inevitabile – e so che non voglio morire dopo aver passato anni a guardare le soap opera in tv. Ecco perché mi piace la creatività: dipingere, scrivere, creare qualcosa con materiali grezzi o cercare di trasformare un disastro in qualcosa di valido. (…) È come lasciare briciole di pane sul sentiero della mia vita per mostrare da dove vengo, dove sono stata e che sono stata qui. Naturalmente non sono sicura di dove sto andando. Fin da quando ero bambina ho avuto la consapevolezza della velocità con cui passa il tempo. Sento di avere così tanto da fare e così poco tempo”.