Il gusto di raccontare

Rosa Tremain, Lily. Storia di una vendetta, Einaudi 2024 (pp. 268, euro 19,50)

Un inizio forte, il sogno della propria morte, per impiccagione. Prevedibile conclusione della vita di un’assassina quale la diciassettenne protagonista già all’inizio si dichiara. Ma basta girare pagina e il romanzo imbocca la strada del c’era una volta, e prosegue secondo il ritmo della narrazione più tradizionale: è Dickens a venire in mente leggendo della neonata abbandonata in una notte del 1850 ai cancelli di un parco, aggredita dai lupi spintisi in città, che le strappano con un morso il mignolo di un piede, salvata da un poliziotto compassionevole, internata in un orfanotrofio in cui le viene dato un nome, per poi essere data in affido in una fattoria della campagna del Suffolk dove non si poteva pensare “che a una settantina di miglia potesse esserci una città come Londra, dove i bambini più piccoli si ritrovavano a fare gli spazzacamini o a spaccarsi la schiena al telaio, campavano di ossa e dormivano in quattro o cinque nello stesso letto”.

Ben diversa la situazione alla fattoria, dove la moglie del proprietario cresce la piccola insieme ai suoi tre bambini e alla loro collie Shadow, e dona a Lily un’infanzia indimenticabile. Ma a termine. A sei anni è previsto infatti che venga ricondotta all’orfanotrofio per imparare un lavoro, “essere utile alla società” e così compensare la sua benefattrice, lady Mortimer (dalla quale è stato deciso, quand’era ancora in fasce, che porti il cognome).

È così che Lily Mortimer, dopo una separazione straziante dalla “madre affidataria” e i suo disperati tentativi di ribellarsi alla disciplina dell’orfanotrofio, si ritrova a lavorare in una fabbrica di parrucche di Londra e a dormire in un seminterrato “vicino a un tratto melmoso del Tamigi”, sognando che la possa riscattare dalla sua condizione lo sconosciuto che vede in chiesa la domenica, e sembra interessato a lei, desiderarla forse… Ma non è altri che il poliziotto – ora commissario – che l’aveva sottratta ai lupi quella lontana triste notte e che si offre di salvarla una seconda volta, rispondendo a un sentimento che si dimostrerà non puramente paterno…

Mentre prosegue, con frequenti flash back sulla terribile vita impostale dalla sadica e depravata “infermiera Maud” nell’orfanotrofio, la narrazione lascia ripetutamente affiorare l’allusione a quel fatto inconfessabile, niente meno che un omicidio. Il lettore lo sapeva del resto, lei stessa si era dichiarata un’assassina nella prima pagina, ma dovrà aspettare. Dare tempo a Lily di cercare la madre che l’aveva abbandonata per convincersi alla fine che “per il bene della sua salute mentale, doveva rassegnarsi a quell’eterno non sapere”. Non a rinunciare alla vendetta, però, contro chi aveva infierito su di lei, orfana, ponendo fine anzitempo alla sua infanzia. E dunque, l’omicidio, e naturalmente la ricerca del colpevole, il che richiama in campo il poliziotto che conosciamo sin dall’inizio della storia…

Più che un colto divertissement, sul tipo del Roderick Duddle in cui anche Michele Mari ha ricreato trame e atmosfere alla Dickens, questo di Tremain, autrice di parecchi altri romanzi storici, sembra frutto di un gusto di raccontare che si trasmette al lettore, contagiato dalla simpatia della scrittrice per l’infelice bambina che incontra, solo nella prima infanzia, il calore della famiglia in una fattoria lontana dalla città, per poi riprecipitare nell’inferno di un istituto minorile: una vicenda che ricorda quelle narrate – con tutt’altro stile – da Claire Keegan in Piccole cose da nulla e Un’estate (Einaudi 2022 e ’23, in queste note nel febbraio 2023 e nel gennaio di quest’anno).

Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.

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