Raffaello Palumbo Mosca, Che cos’è la non fiction, Carocci 2023 (pp. 110, euro 13)
La definizione sembra semplice: è tutto ciò che non è fiction, che non è racconto o romanzo, poesia o testo destinato alla rappresentazione teatrale: i reportage, i resoconti di viaggio, i saggi narrativi, le autobiografie romanzate ossia l’autofiction. Da una parte il falso e dall’altra il vero, da una parte le storie e dall’altra la Storia, quindi? No, perché il finzionale, l’invenzione narrativa, non propongono di falsificare la realtà per ingannare, bensì per “dilettare e stimolare la riflessione”, ma anche perché la Storia ha molto da spartire con il romanzo.
Qualcuno, come lo statunitense Hayden White, le ha addirittura negato ogni pretesa di scientificità e l’ha assimilata all’opera letteraria: solo una diversa “retorica” distinguerebbe lo storico dal narratore o dal poeta. Ci ha pensato il nostro Carlo Ginzburg ad arginare questa deriva interpretativa: anche lo storico racconta, certo, ma attenendosi strettamente alle fonti, alle tracce, ai documenti, ben consapevole per altro di quanto i materiali di cui si serve lo possano, volontariamente o meno, ingannare, e preoccupandosi quindi di individuarvi sempre i punti di vista e gli intenti di chi li ha prodotti, mantenendo una distanza dalle vicende che intende ricostruire, avvertendo chi legge delle certezze ma anche dei dubbi che le fonti suscitano, non entrando in prima persona nella storia e non identificandosi con i personaggi storici con cui ha a che fare. Il contrario di quel che fa l’autore di non fiction, che per lo più si cala nella storia e nei personaggi che la animano, manifestando apertamente il proprio coinvolgimento, ammettendo la parzialità del proprio punto di vista, offrendo perciò al lettore, al posto dell’inequivocabilità delle prove rinvenute e il rigore del metodo impiegato, la propria sincerità di autore-narratore. E le differenze non finiscono qui: se lo storico, lontano ormai dalla pretesa di obiettività che l’aveva connotato in passato, ammette di servirsi spesso degli accorgimenti che caratterizzano la narrativa ma rivendica un ruolo insostituibile del suo lavoro per la conoscenza del passato, l’autore di non fiction è dichiaratamente propenso a riconoscere all’immaginazione – un’“immaginazione interpretante” – una funzione capace di restituire una verità cui la ricerca storica non sa in molti casi giungere.
Il discorso si chiarisce non appena dai principi si passa agli esempi concreti: se A sangue freddo, di Truman Capote, è riconosciuto come testo fondante della non fiction, con la sua commistione di fatti documentati e congetture nelle quali il vero risulta indistinguibile dal verosimile, la Storia della colonna infame di Manzoni aveva già praticato un terreno simile, pur avvertendo sempre il lettore, quando il discorso scivolava dal piano del fatto documentato a quello della sua interpretazione – con esplicite formule dubitative (“potrebbe essere benissimo che…” oppure “non pare però punto probabile che…”).
Venendo ai giorni nostri, sono reporter-scrittori come Ryszard Kapuścińki o romanzieri come Javier Cercas e Emmanuel Carrère, o narratori-saggisti come il Magris di Danubio e, sopra tutti, Winfried G. Sebald a offrire materia utile a definire che cos’è la non fiction, i cui antesignani, nel nostro Paese, sono rintracciabili nel Carlo Levi di Cristo si è fermato a Eboli, ma soprattutto in Leonardo Sciascia, vero iniziatore di “quel procedimento grazie al quale la verità è raggiunta ‘per virtù della scrittura, che si accumula e giustappone dati, documenti e suggestioni letterarie e infine li fonde’”, per cui, si direbbe, “la verità non è nei documenti (che spesso mentono o sono lacunosi) ma nell’operazione letteraria (e romanzesca), che quei documenti riorganizza, interpreta e, in ultima analisi, smaschera”. Saranno poi Sandro Veronesi, Eraldo Affinati e Roberto Saviano a segnare l’affermazione della non fiction in Italia: autori di opere diverse fra loro, eppure accomunate da finalità pratiche, morali, civili in cui è ravvisabile un’innegabile specificità italiana in quest’ambito letterario.
La complessità crescente del nostro mondo, più in generale, e l’opacità che offusca vaste aree dell’agire umano, sono probabilmente da tenere in conto se si vuole comprendere non solo che cos’è, la non fiction, ma anche perché molti scrittori vi ricorrono, nella ricerca di mettere a punto strumenti che non si dimostrino spuntati già in partenza, di realizzare interventi che non risultino innocui, di creare forme espressive che contrastino il dilagare della logica della fiction nella valanga di notizie e immagini che i media incessantemente ci forniscono.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.