Ossicini


Saltello.  
Un balzo di qui, una corsa di là. So correre veloce, sììììì, velocissima, mentre corro annuso, e mentre annuso guardo, e il cuore ruzzola anche lui insieme a me, una scheggia, mi rimbalza nel petto per la felicità, per la bellezza di questa radura, per i profumi che mi si tuffano in velocità dentro le narici, per quello che le mie pupille assorbono, frammenti di paesaggio ad angolo giro mentre sfreccio a settanta chilometri orari, perché sono pazza di gioia e anche perché sono un po’ impaurita.
Ho paura che si arrabbi. Come chi? La mamma! Mi ha lasciato in una zona riparata fra le rocce, protetta da un cespuglio di rovi.
Stai ferma qui. Immobile. Non hai odore, lo sai, e quindi non può trovarti nessuno se non ti muovi, mi ha detto.
Ma come posso stare ferma! I miei sensi la sentono la vicinanza delle erbe di campo, della frutta, del grano, e le mie zampe sono fatte per sfrecciare…  
Adesso corro ancora due volte intorno a quella vigna laggiù, faccio lo slalom quando arrivo ai sassi e poi torno nel mio covo, che magari mamma non si accorge e mi permette di…

Sara! Sara! Ehi, dormi o sei sveglia? Ma dove hai la testolina, sono dieci minuti che ti sto chiamando!
Dai piccolina, guarda, ci hanno portato il pranzo.
Che spavento! Meno male che mamma non si è accorta… Spalanco gli occhi e la vedo seduta vicino al mio lettino. E’ bella mamma, e mi sorride.
Invece io non posso. Non so come si fa. Non so neanche se ce l’ho la bocca, io.
Ma nel prato in cui corro funziona tutto perfettamente. Ho denti buoni per mordicchiare le erbette selvatiche e i germogli… Buonissimi!

Sara, vieni cucciolina, dai che mangiamo.

Non mi piace mangiare in questo posto.
Dice mamma che sono una bambina bravissima e coraggiosa.
Lei ancora non lo sa che sono una lepre.
Io l’ho capito da sola.
Ce ne sono tanti bambini qui, ma nessuno è come me. Li ho guardati bene: sotto il naso hanno due strisce arrotondate, morbide, rosa. Labbra, si chiamano. Anche la mamma le ha, lei colorate di rosso. Sono molto belle, si possono aprire, e quando le apri puoi far uscire parole, risate, sbadigli, oppure far entrare aria, acqua e cose buone da mangiare.
Io no! Non somiglio a nessuna delle persone che sono qui. Somiglio a Bruscolino tutto pepe.
Come chi è? Il leprotto grigio che salva Biancolina, la sua amica coniglietta finita nella rete dei cacciatori. Bruscolino corre a chiamare lepri, conigli, scoiattoli e tutti insieme rosicchiano la rete finché riescono a liberarla.
Bruscolino e Biancolina hanno una pelliccia bellissima, la pancina rosa, lunghe orecchie e occhi grandi.
La loro bocca è piccola e come spaccata in due. Uguale alla mia, ho pensato, quando li ho visti nel libro che mi ha portato mamma. Ecco a chi somiglio! Sono una lepre, non una bambina, e adesso scappo via, fuori, nel prato, a giocare con Biancolina! Evviva!
Dice mamma che mi mancano le ossa del palato, e che se avremo tanta pazienza i dottori me ne faranno uno nuovo tutto per me.  Apre la bocca e mi mostra il suo, per farmi capire cos’è, il palato. Mi fa ridere, adesso non riesce a parlare con quelle labbra spalancate, emette solo versi, proprio come me… Dopo me lo metteranno mentre dormo, dice mamma, e quando mi sveglierò avrò anch’io la mia bocca, labbra, sorriso e tutto, anche il colore rosso come il suo.
Vorrei dirle che sono una lepre, non una bambina, e che non posso stare chiusa in questo ospedale, ma mamma non mi crederebbe.  

Saraaa, scendi, è arrivato il babbo, vieni che si mangia!

Bruscolino tutto pepe… ma non ci posso credere. Avrò letto questa storia cento volte, nel lungo periodo trascorso in ospedale per curare la mia labiopalatoschisi. Studio in un’altra città e torno qui di rado ormai; quando vengo a trovare i miei genitori dormo ancora nella stanza che fu la mia cameretta. Mamma non ha spostato quasi nulla, e sulla libreria ci sono i miei libri di bambina. Quello che ho in mano mi sbalza indietro nel tempo, facendomi precipitare a picco dentro me piccina.
Non è solo un ricordo. Riesco a sentire quello che provava la bambina che ero, costretta a rimanere a lungo in un reparto ospedaliero, così impaurita da inventarsi un mondo di fantasia e una diversa identità in cui rifugiarsi. Avverto vivido come allora un sentimento di grande solitudine. Mamma ne era addirittura spaventata, cercava in ogni modo di rendermi sopportabile la realtà e di spiegare con parole semplici la mia malattia: sono solo due ossicini, non avere paura piccolina, sei una bambina bellissima e brava, non avere paura, vedrai.
Dal piano di sotto la voce di mia madre mi scuote. Saltello giù per le scale.
I capelli raccolti in due lunghe code ai lati della testa, mi rimbalzano sulle spalle.
Le narici fremono, stuzzicate dai profumi che provengono dalla cucina.
Oggi pranzo speciale in tuo onore, annuncia mamma mentre porta in tavola il vassoio. Mi trattano ancora con l’attenzione premurosa dei miei anni di bambina. La malformazione con cui sono nata e gli interventi chirurgici subiti mi hanno resa per sempre vulnerabile ai loro occhi.   
Come ogni volta che vengo, adesso babbo e mamma faranno a gara a raccontarmi tutte le fasi della complicata ricetta che hanno cucinato per me.
Questa volta ci siamo superati – è babbo che parla. Ho preparato la marinata con un bel rosato dell’Elba, e l’ho profumata con tutti gli odori, cipolla, sedano, carota, alloro, bacche di ginepro e chiodi di garofano. Una notte intera ce l’abbiamo lasciata… E poi la cottura, perfetta: vivace all’inizio e poi lenta, a fuoco moderato…
Ora mamma gli toglie la parola: e prima di cucinarla l’abbiamo disossata per bene, che non ci fossero ossicini puntuti a darti fastidio alla gola…
L’ho detto, mi trattano come se fossi ancora piccola…
Ecco Sara: la miglior lepre in salmì che potrai mai assaggiare!
Lo dicono in coro. Mi guardano contenti, in attesa della mia approvazione.

Mi basta uno sguardo e con le pupille ad angolo giro intercetto lo spiraglio della porta finestra alle mie spalle. Il cuore mi rimbalza nel petto, muoio di paura ma carico tutto il peso sui muscoli delle zampe posteriori e mi lancio in avanti. In un attimo sono fuori dalla stanza e via, balzo dopo balzo corro all’aperto, sento l’aria fresca strofinarsi sulle mie lunghe orecchie, il pelo scompigliato dalla velocità della corsa.

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