Un sorriso gigantesco sull’Algeria

Una lettera di Zazi Sadou, l’amica algerina da tempo ospite di secondorizzonte, sulle proteste suscitate dalla volontà di perpetuarsi di un potere arrogante e cieco

“Sono rientrata ieri da Algeri. Vi ho passato 15 giorni e naturalmente l’8 marzo.
Spero di potervi ritornare presto. Questo mi mette in movimento, come puoi vedere. Spero che le manifestazioni restino pacifiche come lo sono adesso. È assolutamente evidente il senso di fraternità e il buon umore. Un clima che non ho mai vissuto in passato. Aleggia sull’Algeria un sorriso gigantesco. È così che lo sento. Quando ci si incrocia nella strada ci si guarda e ci si sorride. Soprattutto con le donne e i giovani. Sono tutta sotto sopra. E ho un desiderio folle di ripartire.”

Lettera aperta a questo potere che rifiuta di ascoltareIL NOSTRO CUORE BATTE DI NUOVO

Da parecchie settimane un clamore immenso sale dal più profondo dell’Algeria. Milioni d’Algerine e d’Algerini misurano a grandi passi le città e i villaggi per dirvi: «Andatevene», «Sgomberate», «Voi siete indegni del nostro popolo e della nostra fiducia», «Il vostro sistema è marcio», «né prolungamento del 4° mandato né mantenimento del vostro sistema» …

Voi rifiutate di sentire questo clamore immenso. Ma né voi, né nessuno potrà soffocarlo.

Prendete lezione dalla storia e andatevene.  Restituite le chiavi del nostro bel paese. La rottura è consumata.

Se voi non sentite niente è perché siete morti o decidete di non sentire niente come avete fatto da decenni.

Nel 1970, il vostro sistema ha represso e imprigionato centinai di studenti e studentesse il cui unico torto era di reclamare la giustizia sociale.

Nel 1988, il vostro sistema ha fatto uscire i suoi carri armati per sparare su giovani che mostravano i loro petti nudi. Avete imprigionato decine di militanti il cui solo torto era di reclamare la giustizia sociale.

Nel 1999, il vostro sistema ha messo la museruola alla voce delle vittime del terrorismo e decretato l’amnistia degli assassini imponendo l’amnesia generale e il furto organizzato della nostra memoria collettiva. Avete fatto la scelta del crimine e pretendete di aver portato la pace. Quello che voi occultate è la resistenza eroica del nostro popolo di fronte alla barbarie del GIA e i suoi sostenitori. Avete fatto la scelta di ignorare l’estremo sacrificio dei suoi figli.

E’ ai sacrifici di Katia Bengana, Amel Zenoune, Mohamed Sellami, Benhamouda, Alloula, Medjoubi , Tahar Djaout, Djillali Liabes e di centinaia di migliaia di martiri anonimi e di donne e uomini resistenti civili, di patrioti, di soldati che noi dobbiamo il merito di aver conservato la nostra bandiera e il nostro inno nazionale.  Queste preziose eredità di Djamila Bouhired, Abane Ramdane, Maurice Audin e i milioni di martiri dell’indipendenza.

La nostra eterna riconoscenza va a quelle e a quelli che ci hanno permesso di sfuggire a una teocrazia wahabita sanguinaria e che permette ai giovani di oggi di manifestare affiancati, con rispetto e fraternità. Questa speranza nascente appartiene a loro. Voi non gliela potete sottrarre.

Il nostro popolo non ha alcun debito con voi. Da 20 anni voi lo tradite.

Prosciugando le ricchezze del nostro paese e aspirando il suo midollo fino all’osso…

Ipotecando la nostra sovranità nazionale e dando da bere la voce dell’Algeria sulla scena internazionale…

Volendoci umiliare davanti alla terra intera, facendoci passare per un popolo vassallo di una poltrona e di un volto…

Impedendoci di sognare un mondo nuovo e migliore per i nostri figli e nipoti…

Scoraggiando e anestetizzando migliaia di dirigenti integri in tutti i settori dell’economia, dell’educazione, della salute, della giustizia ecc… E che, a dispetto del disgusto che si è insinuato in essi, fanno del loro meglio perché l’Algeria non crolli ancora di più…

Distruggendo la speranza di un futuro luminoso per i giovani che, tutti i giorni, hanno sfidato la morte senza sepoltura gettandosi in mare…

Dando potere a incolti, predatori, ladri, ignoranti, leccapiedi, gente senza dignità né onore, senza fede né legge…

Usando la corruzione per governare.

E usando terrore e intimidazione per durare…

Concedendo i favoritismi, l’uso illecito di informazioni privilegiate, i procedimenti d’ingiunzione, la concussione, il furto organizzato per garantirvi fedeltà che finiranno per lasciarvi… Non dimenticate mai che quelle e quelli che hanno la pancia molle e «piena di fieno» temono il fuoco.

Presto o tardi vi renderete conto dei disastri in cui avete immerso l’Algeria. Voi vi attaccate a un trono vacillante … Cessate di giocare ai pompieri-piromani. Mettete fine a questa macabra sinfonia di sedie musicali. Inutile affaticare il diplomatico/pensionato per fabbricare una «soluzione» della crisi.  Lo schema dell’Onu di gestione di crisi è inoperante.

Ascoltate il clamore.  Sentitelo. Prendete atto della fine del vostro sistema.  Andatevene, il popolo lo grida da settimane.

Per il dopo, non preoccupatevi, c’è tanta energia e creatività da dispiegare per trovare buone soluzioni  e costruire una Repubblica, democratica e sociale.

Il nostro cuore batte di nuovo e non smetterà più di far brillare l’Algeria negli occhi magnifici delle nostre figlie e dei nostri figli. Sono così fiera di essere Algerina. Io non dimentico. Non abdico.

Zazi Sadou

Femminista Port-Parole del RADF – Rassemblement Algérien des Femmes Démocrates – 1993-2004 [lettera inviata il 14 marzo 2019, traduzione di Delfina Lusiardi]

Pensiero del Presente / Trasformare la paura, si può

Fra le testimonianze di Zazi Sadou tradotte e pubblicate in Italia (“Ho scelto di lasciarvi immagini di vita e di bellezza”, Diotima, Il profumo della maestra, Liguori 1999; “Lotta al terrorismo. Imparare dalle donne d’Algeria”(“Via Dogana”, n. 58/59 2001, dopo l’11 settembre); “Trasformare la paura, si può” (Quaderno di Via Dogana, Fare pace dove c’è guerra, 2003), Secondorizzonte ha ritenuto opportuno riproporre quest’ultima.
Si tratta infatti di una narrazione ricca di riflessioni profonde e di insegnamenti sapienti, purtroppo straordinariamente attuali,  riguardo alla  maniera di trattare  la paura con la quale  il terrorismo  cerca di distruggere ogni disponibilità all’apertura e all’incontro tra esseri umani, facendoci dimenticare ciò che ci lega al di là delle appartenenze religiose e delle differenze culturali: l’amore per una  terra accogliente e il rifiuto della violenza sotto ogni forma.
“Trasformare la paura, si può” , nella versione integrale è disponibile a stampa, nel Quaderno di Via Dogana
Fare pace dove c’è guerra. Il Quaderno è in vendita alla Libreria delle donne (via Pietro Calvi 29, Milano) – che ringraziamo per l’autorizzazione alla riproduzione del testo sul nostro sito – e si può richiedere scrivendo a info@libreriadelledonne.it.

La paura è come la morte, la morte violenta. Non c’è niente di peggio. La paura è un sentimento ancor più forte dell’amore, della gioia. È qualcosa di talmente forte che, se arriva a dominare il suo pensiero, il suo corpo, la persona è morta. Non fa più niente… Malgrado la paura, siamo riuscite a creare un luogo di legami sociali, di solidarietà. Io uso la parola “strategia” perché noi abbiamo cerca­to di mettere in gioco delle azioni precise, volte a rompere il cerchio della paura collettiva. Quando una persona è isolata ha paura. Ma se sono migliaia le persone che hanno paura è l’isolamento più totale. Quando l’integralismo è arrivato con il terrore per inchiodare tutti al silenzio, alla paura, una voce si è alzata per dire: rompete il silenzio, perché questo silenzio è la morte. Sono state per prime le donne ad alzare la voce in Algeria, come risposta collettiva.*
Io credo che in ogni situazione, e non solo in Algeria o in Bosnia o in Afghanistan (società attraversate da conflitti sanguinosi), le risposte alla paura, a questa esperienza umana dolorosa, debbano essere le stesse.
La paura è un sentimento che tutti conoscono, più o meno. Confesso che io ho molta paura: lo so, l’accetto, la faccio diventare parte integrante di me stessa. È un sentimento orribile che paralizza. Sono d’accordo che occorre parlarne: è necessario poterla esprimere, ma solo a condizione che il parlarne non la renda contagiosa.
Per esperienza, infatti, riconosco tre tipi di paura. C’è questa paura contagiosa: una persona può suggestionare un gruppo distruggendo ogni possibilità di reazione, ogni possibilità di difesa, ogni possibilità di resistere. Sono situazioni di violenza estrema.
C’è la paura paralizzante, ha lo stesso effetto del tetano: se la persona o il gruppo che si trova in questa situazione non riesce a trasformare questa paura in un altro sentimento, come la rabbia ad esempio, per potere reagire e per potere attingere al massimo di energia per affrontarla, è la morte certa, è la prigione, è l’abbassare le braccia. La paura si prende tutto, è dare alla paura tutto il potere, sia da parte di singolo che da parte di un gruppo sociale o politico.
Infine, c’è la paura che personalmente, e penso anche collettiva­mente, abbiamo cercato di trasformare in paura motivante. Noi abbiamo conosciuto tutte le forme di paura. Ma è appunto quest’ul­tima, quando siamo riuscite a trasformarla in un guadagno di conoscenza, che ci ha dato la rabbia e di conseguenza la forza di reagire e di agire molto rapidamente.
Ogni individuo che vive la paura sa che è qualcosa di terribile, la paura può trasformare una persona, può trasformare un soggetto in una pecora. A quel punto, puoi fare di lui quello che vuoi. La paura è anche un segnale importante, ma quello che i movimenti totalitari fanno è di manipolare la paura degli individui. I gruppi armati isla­misti in Algeria hanno usato la paura e il terrore per mandare in pezzi la società, per cancellare la presenza delle donne nei luoghi pubblici e per prendere il potere. La resistenza, nelle sue diverse forme, ha avuto l’effetto di far regredire la paura collettiva, ostaco­lando questo processo.
All’inizio, c’è stato l’assassinio di poliziotti, di uomini della gen­darmeria, di militari. La società non ha ceduto. Noi abbiamo manife­stato fin dai primi assassinii. Poi c’è stato l’assassinio di intellettuali, e di giornalisti.
C’è stata una resistenza civile, la società non ha cedu­to. In seguito, a partire dal 1994, c’è stata un’altra fase: paralizzare, immobilizzare la società toccando il cuore della famiglia, cioè attac­cando le donne. Bisogna considerare il ruolo delle donne nella rap­presentazione simbolica, in società di tipo patriarcale come la nostra. Toccare una donna, violentare una ragazza nella sua casa, alla presenza dei fratelli, alla presenza del padre, provoca delle ondate di shock. Situazioni di questo genere sono state prodotte su larga scala. La violenza sessuale è stata utilizzata in Algeria dai grup­pi armati per terrorizzare la società. Sono state spesso le madri che hanno cercato di opporsi alla violenza e al sequestro della propria figlia. Ci sono casi concreti. Nella maggioranza delle testimonianze che abbiamo raccolto, le giovani donne violentate non volevano più ritornare a casa perché si sono sentite abbandonate dal padre e dal fratello che non hanno mosso un dito per proteggerle. È facile immaginare le conseguenze di queste relazioni nella società: viene lacerato in profondità il tessuto sociale, che poi deve essere ricosti­tuito. Abbiamo lavorato in situazioni di violenza estrema, di terrore. Essendosi questi casi moltiplicati, a partire dal momento in cui un numero sempre più elevato di ragazze venivano violentate o seque­strate, c’è stata una reazione che si può definire salutare perché un numero sempre maggiore di uomini hanno cominciato a organizzar­si in gruppi di resistenza. Padri di famiglia, nella loro testimonian­za, mi dicevano: io ho impugnato le armi perché sono venuti ad offendere l’onore di mia figlia. Ma, con l’organizzazione della resi­stenza divenuta sempre più importante in tutta l’Algeria grazie alla formazione dei gruppi di autodifesa e di patrioti, l’attività dei grup­pi armati terroristi ha subito un’evoluzione: è stato in quel momen­to che sono cominciati i massacri. Non era più una persona soltanto o una famiglia ad essere colpita, ma centinaia di persone che veniva­no assassinate nei villaggi. Massacri con un unico obiettivo: generare terrore per annientare ogni tentativo di opporsi ad essi.
Fare delle manifestazioni, delle marce, parlare in pubblico, inter­venire in una conferenza o scrivere esponendosi con il proprio volto e con il proprio nome, ha significato dire: io non ho paura di voi; io non posso tacere le cose che penso. Questa è stata in ogni momento la nostra politica, che toglie terreno a chi ricorre all’arma della paura. Ma ha anche l’effetto di far regredire la paura dentro di sé e farla regredire negli altri.
Ho visto rinascere la fiducia nelle relazioni. Quando un gruppo di individui constata che ci sono persone le quali, nonostante la paura che sentono non rinunciano a dichiarare orribile il progetto di colo­ro che minacciano tutti usando il terrore, si crea un luogo di solida­rietà.
Abbiamo dovuto anche trovare una lingua più potente della loro per dire che il nostro progetto è la vita. In questo modo noi stesse non ci siamo lasciate paralizzare dal terrore, dimostrando ad altri, ad altre che era possibile non lasciarsi trascinare fino in fondo dalla paura.

*Zazi Sadou, nel suo contributo al Seminario Verso un sapere del sentire, La paura, un segno forte del presente (Università delle donne di Brescia, aprile 2000), ricordava gli inizi della loro azione collettiva nel clima di terrore:
“Nel gennaio del 1995, era la vigilia del Ramadan in Algeria. Una bomba di cento chilogrammi di esplosivo , il T.N.T., esplose nel centro della capitale. Ci furono circa cento morti, centinaia di feriti. È esplosa al momento del passaggio di un auto­bus strapieno, diretto verso un quartiere popolare d’Algeri alle tre del pomeriggio, quando le persone erano uscite per fare le compere della vigilia del Ramadan. Ho sentito questa esplosione dal posto in cui ero con alcuni amici. Siamo andati sul posto immediatamente, appena avuta la notizia. È l’orrore, quando si arriva nel momento in cui ci sono pezzi di corpi da raccogliere. È assolutamente orribile da spiegare. Bisognava fare qualcosa: questo andava oltre i limiti personali. Avrei potu­to mettermi a raccogliere pezzi di corpi… occorreva fare qualcosa che rompesse il cerchio della paura, lo sapevamo. Lo sapevo che se pubblicamente non avessimo fatto un’azione spettacolare per lanciare un messaggio alla società da un lato e, dal­l’altro, ai terroristi che hanno rivendicato l’attentato (uno dei capi ha fatto una dichiarazione dagli Stati Uniti) per dire loro che noi non cederemo, che la società non cederà al terrore, noi avremmo cominciato a perdere la partita. E così abbiamo deciso quello stesso giorno di chiamare le donne a una manife­stazione sul luogo dell’attentato. Abbiamo scritto un comunicato che è uscito subito sui giornali. Abbiamo cominciato a telefonare alle persone. Non avevamo l’autoriz­zazione della polizia, ci sono state anche pressioni per impedirla, ma noi eravamo così convinte che si dovesse fare questa manifestazione che in meno di ventiquat­tr’ore centinaia di donne si sono presentate sul luogo dell’attentato. Eravamo sicu­re che ci sarebbero state, soprattutto le donne. Sul luogo dell’attentato restava un cratere di decine di metri, il sangue era ancora dappertutto, tutti i vetri della strada erano esplosi. E loro sono venute con delle candele e le hanno messe tutt’intorno.
Malgrado questo sentimento di paura, c’era stato qualcosa. E questa manifesta­zione ebbe un’eco straordinaria in tutta la società. L’eco fu importantissima sul piano psicologico come sul piano politico, perché fu la dimostrazione che ci sono delle algerine – per la maggior parte erano venute donne – che dicevano no, che esprime­vano un rifiuto, e che questa resistenza aveva il senso di rifiutare uno stato totalita­rio sotto la copertura della religione”.

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Pensiero del Presente / Non in nostro nome*

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*La lettera, scritta subito dopo le azioni terroristiche del 7 gennaio a Parigi, è indirizzata a Delfina Lusiardi, femminista bresciana, che l’ha tradotta e fatta circolare nell’ampia cerchia delle persone che in Italia hanno incontrato direttamente Zazi Sadou o l’hanno conosciuta attraverso le sue testimonianze.
Sono testimonianze della resistenza con la quale le donne algerine democratiche si sono opposte alle azioni di terrore dell’integralismo islamico negli anni novanta. Delfina Lusiardi le ha, di volta in volta, raccolte, curate e tradotte.

Carissima amica, sono ancora sotto choc per quello che è successo ieri a Parigi. Immagina la violenza delle emozioni che ci sommergono.
Ecco il testo che ho scritto come un grido del cuore…

Tahar Djaout, giornalista algerino è stato assassinato nelle strade di Algeri da un giovane uomo che l’ha chiamo con il suo nome prima di puntare l’odio di cui era armato contro la sua tempia… Robot della morte persuaso di aver vendicato Dio e il suo profeta.
Tahar Djaout aveva appena scritto: “Se parli muori, se taci muori allora parla e muori…”

Questa frase divenne il nostro slogan, una parola d’ordine che ha impegnato migliaia di algerine e di algerini che hanno resistito ai molteplici attentati  e assalti dei gruppi armati integralisti…
Le donne furono nelle prime linee per denunciare i crimini commessi in nome della religione  e di Dio!
Tutti i giorni, durante più di un decennio abbiamo occupato le strade e i cimiteri per denunciare a mani nude il nostro diritto alla Vita e alla Libertà difendendo così i nostri ideali repubblicani e democratici.
Dieci anni dopo aver lasciato l’Algeria sono ripresa dentro un incubo che ha ossessionato le nostre vite per due decenni.

L’attentato  contro i giornalisti di Charlie Hebdo è un crimine contro la Libertà d’espressione, base democratica incontestabile. Non c’è da avere alcun dubbio sull’intenzione degli assassini. L’impatto che può avere questo ignobile crimine è da prendere molto sul serio. Se gli assassini lo rivendicano a nome dell’Islam, non  lasciamoglielo fare. Che questo crimine ignobile non venga attribuito ai milioni di cittadini di orizzonti e di origini differenti. Non lasciamo che vengano usurpate e sequestrate la credenza di milioni di donne e di uomini e le culture legate ad essa per un ideale politico il cui solo obiettivo è di imporre una “dittatura” dove saranno banditi il libero arbitrio e la Libertà!
Agiamo, manifestiamo il nostro rifiuto di confusioni, denunciamo quelle e quelli che ci catalogano sotto l’etichetta di “musulmano” dunque potenzialmente integralista o violento!
Denunciamo, facciamo sentire le nostre voci e gridiamo forte in faccia a questi “spacciatori di paradiso”: vi è proibito agire in nostro nome!
Il movimento integralista legato all’islamismo politico è da combattere ovunque e con tutti i  mezzi. Che i suoi rappresentanti siano in colletto bianco o armati di Kalashnikov non lasciamogli occupare lo spazio pubblico! Che il sacrificio di centinaia di migliaia di vittime da Algeri a Gao, da Tombuctu a Kabul, dalle città dell’Irak a quelle della Siria non siano inutili.  Non si tratta di condurre “una guerra contro i musulmani” ma di agire INSIEME per impedire a quelli che ci uccidono di gettare i nostri figli  nei roghi che accendono dappertutto…
L’odio degli altri, l’odio verso lo straniero è l’ingrediente che alimenta questi focolai. Siamo solidali e vigili.

Zazi Sadou,
Militante femminista algerina
Portaparola del RAFD dal 1993 al 2002