Luce d’Eramo / Scrivere, leggere

“Scrivere storie è un solitario stare assieme agli altri (liberatisi in personaggi) senza dar loro impiccio. Forse mi concentro a scrivere perché provo un sollievo straordinario dall’io ingombrante: quando si scrive, ci si annulla nei personaggi e si è liberi da se stessi; la più grande libertà è proprio da se stessi. (…) Siamo sopraffatti dall’io, lo portiamo ovunque, tutto è sempre riferito a noi stessi. Che sollievo invece seguire le proprie vicende personali come se accadessero a un altro: ho quasi imparato a guardare la mia realtà, le mie difficoltà, i miei nemici, con occhio narrativo. Forse proprio il bisogno di scomparire è lo scopo inconscio, il motivo di fondo, la molla dello scrivere. (…) Scrivo per scomparire, per accettare la morte. Come se fossi morta. (…) Infilarsi nella scrittura, se da un lato mi consuma, dall’altro mi alleggerisce la vita: mi guardo come rappresentazione”.

Scrivere, leggere / George Saunders

“Capita sempre così. La persona che sono nei miei racconti mi piace di più di quella che sono nella realtà. E’ più intelligente, arguta, paziente, spiritosa – ha una visione del mondo più saggia. Quando smetto di scrivere e torno me stesso, mi sento più limitato, testardo e gretto. Però, quanto mi è piaciuto essere per un attimo, sulla pagina, meno stupido del solito”.

Scrivere, leggere / Umberto Galimberti

“Tutti nella nostra vita abbiamo bisogno di un testimone. Sia chi è vissuto nel più completo anonimato, sia chi non è stato privato di riconoscimenti, fedeltà, rispetto, sudditanza, e dedizione. (…) Se nessuno ti guarda, infatti, se nessuno ti riconosce nei recessi più segreti della tua vita, allora perché sei vissuto? E soprattutto dove reperire il senso della tua esistenza? Nasce da qui il bisogno di scrivere, non necessariamente perché qualcuno ti legga, ma per chiarire a te stesso la trama della tua esistenza, il cui ordito può essere colto solo se hai l’impressione di parlare con un altro che, silenzioso e muto, funge da testimone”.

Scrivere, leggere / Carlo Emilio Gadda

“Nella mia vita di ‘umiliato e offeso’ la narrazione mi è apparsa, talvolta, lo strumento che mi avrebbe consentito di ristabilire la ‘mia’ verità, il ‘mio’ modo di vedere, cioè: lo strumento della rivendicazione contro gli oltraggi del destino e de’ suoi umani proietti: lo strumento, in assoluto, del riscatto e della vendetta”.

Scrivere, leggere / Nicola Gardini

“L’io [che scrive] è un me che è ‘fatto di molti altri me’, come l’io in carne e ossa è fatto di milioni di generazioni: e vuole riassumerli tutti. È l’ultimo di una discendenza, E, comunque, come ha stabilito il giovanissimo Rimbaud, è sempre un altro, un ‘io migliore’, nella scrittura non trasferendosi semplicemente un soggetto storico, ma affiorandone uno del tutto nuovo: un’immagine che potrà anche essere nostra, ma che ci sorprende”.

Scrivere, leggere / Lucia Berlin

“[Scrivere] Per la gioia di farlo. È un posto dove andare. Senza dubbio è un posto in cui mi trovo… in cui sento di trovare la parte onesta di me. Quando ho cominciato a scrivere ero sola. Il mio primo marito mi aveva lasciata, avevo nostalgia di casa, i miei genitori mi avevano ripudiata perché mi ero sposata giovanissima e avevo divorziato. Scrivevo solo per… per tornare a casa. Era come andare in un posto in cui mi sentivo al sicuro. Perciò scrivo per fissare una realtà”.

Scrivere, leggere / Alessandro Baricco

“Per un bel po’ non ho più scritto una riga. Alle volte si è così fastidiosamente banali. Poi, però, a poco a poco, incominciò a crescermi dentro quella che era una mancanza, un battito mancante, uno spazio bianco. Il fatto è che per me scrivere è sempre stato, oltre a un modo per campare, una sorta di esercizio spirituale, e spesso un eremo dove meditare, e sempre il mio segreto Carnevale. E questi tre pezzi di me non sembravano aver trovato una dimora diversa, analogamente perfetta. Così nel libro mastro del mio sentire i conti non tornavano più, e denunciavano una vita in perdita”.

Scrivere, leggere / Paul Auster

“Baumgartner [uno scrittore] chiama questo periodo successivo alla stesura il collasso (…). È il passo fondamentale verso il completamento di un libro, perché dopo aver vissuto giorno e notte con il libro in lavorazione (…), una volta terminato si è così vicini al libro da non saper più giudicare quanto si è fatto. ma soprattutto, le parole sulla pagina sono così familiari ormai da essere come morte, e a rileggerle subito si sarebbe travolti da tali ondate di disgusto da sentirsi tentati di distruggere il manoscritto in un momento di rabbia o disperazione. Per non impazzire, per salvare il salvabile dal disastro combinato, bisogna costringersi a fare un passo indietro e lasciar stare quel maledetto, distaccandosene al punto tale che, quando si oserà riprenderlo in mano, sembrerà di vederlo per la prima volta”.