L’apocalisse prossima ventura

Nouriel Roubini, La grande catastrofe. Dieci minacce per il nostro futuro e le strategie per sopravvivere, Feltrinelli 2023 (trad. Giancarlo Carlotti, pp. 314, euro 22)

Noto per essere stato l’unico economista, almeno fra quelli quotati internazionalmente, a prevedere la crisi del 2008, Roubini non perde occasione per proseguire il discorso allora coraggiosamente avviato e ampiamente criticato dal consesso di Davos: “Se tutti quanti nel gruppo di Davos – non esita ad affermare – credono che succederà qualcosa di bello o di brutto, è assai probabile che si sbaglino”. Con l’aggravante che si guarderanno bene, poi, dal ravvedersi, in forza di un “giudizio umano bacato” che impedisce a chi detiene le leve dell’economia di “frenare le tendenze suicide” insite nel “ciclo di boom-e-declino” che segna la storia economica dalla Grande depressione ad oggi. È anche un libro di storia, questo, di storia del malgoverno o del non governo dell’economia ad ogni livello, nazionale e sovranazionale.

Ma, si sa, “ricordare il passato può aiutarci a prevedere che cosa succederà in futuro”, un futuro che tuttavia non ha precedenti, gravato com’è – lo preannuncia il sottotitolo – da dieci minacce. “Stiamo affrontando un cambiamento di regime da un periodo di relativa stabilità a un’epoca di grave instabilità, confitti e caos. Stiamo affrontando megaminacce diverse da tutto quello che si siamo trovati davanti finora, e sono interconnesse”: “Ci sono anelli di congiunzione tra l’accumulazione del debito (…), le crisi finanziarie, le pandemie globali, l’intelligenza artificiale, l’automazione del lavoro, la deglobalizzazione, gli scontri geopolitici, l’inflazione, la stagflazione, i tracolli delle valute, la disuguaglianza dei redditi, il populismo e il cambiamento climatico”. Non resta fuori niente, verrebbe da dire: Roubini è un economista, ma il suo modo di rappresentare quel che ci aspetta somiglia a quello di chi parla senza usare mezzi termini di una ‘crisi di civiltà’, addentrandosi anche nei risvolti sociali, culturali, umani, esistenziali della situazione attuale.

Ma, restando al sottotitolo, pare non siano escluse “strategie per sopravvivere”. Non si tratta di un’anticipazione azzardata, reticente piuttosto: strategie per sopravvivere almeno per un altro po’ sarebbe stata per il lettore una promessa più coerente con quanto troverà in queste pagine. Lo dice l’autore stesso, del resto, presentando il suo lavoro: “Dopo aver esaminato ogni minaccia nel relativo capitolo, rifletterò sulle nostre possibilità collettive di sopravviverle. Spoiler: senza un’incredibile – si noti: incredibile – botta di fortuna, una crescita economica quasi senza precedenti e un’improbabile cooperazione internazionale, non finirà bene. Ci siamo immersi fino al collo”.

Dopo una lunga traversata, il lettore di questo libro sicuramente impegnativo – capace il più delle volte di volgarizzare complicate nozioni di macroeconomia ma portato a tornare sugli stessi argomenti con un effetto a volte di arricchimento, altre di sovrapposizione – arriva o, meglio, torna, al punto: al di là delle contromisure che, astrattamente, si potrebbero adottare, “nel complesso l’apocalisse sembra pressoché certa. Le soluzioni più plausibili sono complesse, costose e gravide di attriti politici e geopolitici, Probabilmente non le realizzeremo”. Se proprio si vuole dare un volto al futuro, ci si trova perciò di fronte a un’alternativa secca, distopia/utopia, dove la seconda appare, punto per punto, solo un corrispettivo puramente teorico della prima, per cui non resta che riconoscerlo: “Come un cancro che devasta il corpo, le megaminacce semineranno il caos nell’infrastruttura globale e nell’attuale ordine mondiale”. Né più né meno di un grande corpo vagante nello spazio che si abbattesse sulla Terra. Ma attenzione: “Gli asteroidi si abbattono al suolo con effetti spettacolari. Invece le megaminacce prendono forma pian piano mentre chi deve decidere guarda e indugia, discutendo della loro importanza e plausibilità”.

Non c’è scappatoia: gli ultimi settantacinque anni – dal secondo dopoguerra ad oggi – sono stati “l’eccezione e non la regola”. Una parentesi, si potrebbe dire (solo dell’ordine economico, o anche di quello politico? Anche la democrazia potrebbe essere stata una parentesi? verrebbe anche da chiedersi…). Sei anni fa è uscito un libro che per molti versi anticipava questo, e che lo richiama, sin dal titolo: la grande catastrofe qui prevista nelle sue dinamiche profonde rimanda alla grande regressione, in quello constatata da diversi ma concordi punti di vista disciplinari espressi da quindici intellettuali chiamati a spiegare “la crisi del nostro tempo” (La grande regressione. Quindici intellettuali da tutto il mondo spiegano la crisi del nostro tempo a cura di Heinrich Geiselberger, Feltrinelli 2017, in queste note nel settembre del 2017).

Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.

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