Polveri Sottili

L’incipit del nuovo romanzo in pubblicazione di Giovanni Locatelli

Mia madre ha interrotto una gravidanza, due anni prima di portare a termine me. Se lui fosse nato, io non sarei qui. Difficilmente avrebbe fatto un terzo figlio, mia madre, due erano sufficienti, una femmina e un maschio. Lui sarebbe al mio posto e nessuno potrebbe notare la differenza. Così nessuno si accorge oggi che sto usurpando il suo trono. Senza colpe, intendiamoci. Io non ho fatto niente di male, sono solo arrivato fino in fondo, mentre lui non ce l’ha fatta, ma c’è mancato un soffio e non avrei avuto questa occasione. Senza questa, non ne avrei avuta un’altra. Quel momento, l’unione di quell’ovulo e quello spermatozoo, non due a caso, proprio quei due, era ed è irripetibile. La questione può sembrare oziosa, ma di tanto in tanto l’aborto spontaneo di mia madre ritorna nei miei pensieri e ogni volta mi chiedo: ha davvero senso dire lui, dire io? Cosa sarebbe cambiato se fosse nato lui al posto mio?

Lui non sarebbe stato a quella rotonda, in quel momento, quel maledetto lunedì mattina. Un’ombra vista con la coda dell’occhio, una pagliuzza, poi un tonfo, un urto contro il muso dell’auto e subito un oggetto che rimbalza sul cofano, rotola lungo il parabrezza e viene scaraventato dietro l’automobile, un tronco dritto nel mio stomaco che caccia fuori l’aria dai polmoni in un grido disperato. Ho investito un motorino! Il veicolo è dieci metri avanti, scivolato sull’asfalto bagnato dalla pioggia che cade da qualche minuto. Tempo di scendere dall’auto convinto di vedere alle mie spalle il corpo riverso sull’asfalto e invece la motociclista è già in piedi, ferma immobile in mezzo alla strada. Mi avvicino di corsa, guardo negli occhi la donna, lei si toglie il casco, il volto sporco di sangue che esce da un labbro, io balbetto un mi scusi, armeggio con il cellulare, chiamo il 118, ma non mi muovo e lei neppure, saremmo ancora fermi uno di fronte all’altra in mezzo alla rotonda oggi, se non fosse finalmente arrivata una donna a spostarci.

“Signora non stia in piedi, venga a sedersi. Tutti e due, venite via da qui…

A lui non sarebbe successo: avrebbe dormito a casa di un’altra fidanzata in una città diversa, sarebbe partito prima per arrivare al lavoro presto, sarebbe stato attento alla strada invece di guidare col pilota automatico, mezzo addormentato e mezzo distratto dalla radio.

Certo, gli sarebbero capitate comunque esperienze negative, oppure avrebbe potuto essere uno psicopatico, un serial killer. Viceversa, potrei aver soffiato il posto a un genio, un medico che avrebbe debellato il cancro, un politico in grado di pacificare il Medio Oriente. Non si può sapere.

Magari questo mio fratello mai nato non avrebbe salvato quel ragazzo in piscina, parecchi anni fa. Perché meno allenato, o poco pratico con l’acqua, perché in un’altra corsia, troppo distante per accorgersene o semplicemente per non averlo visto, non avendo i miei dieci decimi e non potendo nuotare con le lenti a contatto. In fin dei conti, dei presenti in piscina quel giorno, io sono stato l’unico ad accorgersi dell’africano in difficoltà. Avevo cominciato a tenerlo d’occhio sin da inizio vasca, per quel suo strano fare su e giù nel mezzo, dove l’acqua supera i due metri. Poteva essere un esercizio per la respirazione, un allenamento all’apnea, ma avvicinandomi mi ero reso conto che il giovane aveva perso il controllo e stava annegando. Non avendo nessuna preparazione e pensando che la cosa migliore fosse cercare di sollevarlo per farlo respirare, ero finito io sott’acqua ed era lui a tenermi giù. In quella situazione, e senza possibilità di confondersi, lui e io eravamo due entità ben distinte, in lotta per la sopravvivenza, almeno finché non sono riuscito a spingerlo fra le braccia del bagnino che l’ha estratto dall’acqua.

Anime diverse che si incontrano in un punto dello spazio e del tempo per mai più rivedersi, eppure rimanendo per sempre legati: io, il ragazzo, la signora, quindi, chi siamo? Io sono colui che prova rimorso; la signora, colei che prova dolore. Nessuno vorrebbe essere al nostro posto, ma tutti, dovendo scegliere, preferirebbero il mio ruolo. Il ragazzo stava annegando; io sono l’eroe che ha portato a termine il salvataggio. Anche in questo caso miei sono i panni che chiunque vorrebbe indossare. Con mio fratello mai nato si è verificato lo stesso fenomeno, in fondo: sono io ad aver pescato il jolly. A meno che lui non sia altrove, con una vita e una famiglia diverse, nonostante quell’occasione mancata. Chi dice che non ci sia una seconda chance? Di sicuro qualche filosofo ha già risposto a questa domanda, ma filosofia a scuola l’ho fatta male e ora ne pago le conseguenze. Credere nell’immortalità dell’anima, nella reincarnazione, in una qualsiasi delle teorie sulla metempsicosi mi aiuterebbe a capire chi o cosa ha messo la mia anima in questo corpo, ma io non credo in niente, neppure nell’anima e certi giorni dubito persino del corpo. È mio questo fisico ingrassato, rilassato, impossibile da tenere in forma? È questo che sono diventato? E se ho perso il vigore dei vent’anni, che cosa ho ricevuto in cambio?

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