Anche il genio è relativo?

Étienne Klein, La bicicletta di Einstein, Ponte alle Grazie 2017 (pp. 227, euro 16)

David Bodanis, Il più grande errore di Einstein, Mondadori 2017 (pp. 304, euro 25)

Marie Benedict, La donna di Einstein, Piemme 2017 (pp. 347, euro 18,50)

Anche nell’epoca delle celebrities, in cui la sete di fama sembra aver reso obsoleto il desiderio di gloria, il mito del genio non sembra tramontato.

E’ vero che i primi posti della classifica dei geni contemporanei – recentemente pubblicata , non si sa sulla base di quali criteri, dal “Daily Telegraph” – sono occupati da Albert Hofmann (l’inventore dell’LSD), Sir Timothy Berners-Lee (considerato dai più l’inventore del Web), George Soros (finanziere e filantropo) e Matt Groening (il creatore dei Simpson), ma nell’immaginario collettivo la figura del genio continua a richiamare un volto  ben preciso: quello di Albert Einstein.

Ce lo conferma Étienne Klein, un fisico, non un semplice divulgatore, che illustra in termini accessibili le idee del suo illustre collega seguendo i luoghi da lui via via abitati (Le pays qu’habitait Albert Einstein era il titolo originale): “Fin da adolescente – racconta in apertura – ho sempre avuto bisogno di averlo intorno. Sulle pareti della mia stanza avevo appeso due sue foto. Su una era giovane (…); sull’altra – quella che la maggior parte di noi ha in mente – era vecchio, patito, mal vestito, aveva i capelli lunghi e occhi infinitamente tristi.” La tristezza di chi ha molto compreso dell’universo e delle relazioni fra spazio e tempo che lo attraversano e tuttavia sente che molto ancora gli sfugge? Anche peggio, stando a David Bodanis (questo sì, divulgatore scientifico): il vecchio Einstein è un isolato. Il suo rifiuto di misurarsi con le nuove teorie della meccanica  quantistica l’ha ridotto ai margini della comunità scientifica internazionale.

Tutt’altro il personaggio che incontriamo nel romanzo di Marie Benedict, del tutto aderente all’immagine affascinante cui siamo affezionati, all’inizio, ma poi, mano a mano che le pagine scorrono, sempre più compromessa da un desiderio di notorietà e da un narcisismo che la incrinano fino a renderla del tutto inattendibile. Artefice di questa drastica ridefinizione del profilo del’intelligente per antonomasia è la moglie, Mileva Maric, voce narrante di una storia drammatica della serie “dietro ogni grande uomo c’è una grande donna”. Dietro per l’appunto: pare che il professore, quando la coppia era in pubblico, gradisse che lei gli camminasse a qualche passo di distanza. Ma c’è ben di peggio, e non è neanche l’indifferenza che come padre dimostra nei confronti dei figli (contraddizioni dei grandi, si potrebbe pensare: vedi Rousseau…). Quel che grida vendetta è che il famoso articolo del 1905, quello che per la prima volta abbozza la teoria della relatività, non sarebbe farina del suo sacco, o lo sarebbe solo marginalmente. La vera autrice – stando al romanzo – è Mileva, anche lei scienziata, dotata, a differenza del marito, di un vero talento matematico, ma costretta a rinunciare allo studio e alla carriera proprio per assecondare quella di lui e crescere i loro figli. 

Si resta senza parole: è come se ci si venisse a raccontare che Sof’ja Tolstaja non si limitò a copiare più di una volta il testo di Guerra e pace, ma ne scrisse i capitoli migliori per poi veder cancellata la propria firma, che si era attesa di veder comparire accanto a quella del consorte…
Una grande storia d’amore e di disamore, dunque, quella di Benedict, che si fa leggere – come si usa dire – avendo comunque presente l’avvertenza che, sia pure molto sommessamente,  il lettore riceve (“Questo libro è un’opera di fantasia. I fatti storici narrati sono liberamente interpretati dall’autrice”).
Dovremo leggere, prossimamente, il romanzo in cui ci si rivela che – come uno studioso australiano ha del resto poco tempo fa sostenuto – capolavori come le Variazioni Goldberg non sono opera di Johann Sebastian Bach ma della moglie, Anna Magdalena?

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