La femmina nuda di Elena Stancanelli

Questa non è una recensione, né una breve scheda (se ne trovano di ottime nella rete…). Si può invece consigliare un libro non fosse che per una due pagine? Intendendo naturalmente che il resto non è affatto da buttar via, anzi: La femmina nuda di Elena Stancanelli – pubblicato dall’appena varata Nave di Teseo che con questo primo titolo si avventura su mari tempestosi sfidando la superconcentrazione editoriale – è tutto da leggere. Ma appunto, di questo nuovo romanzo candidato allo Strega, della sua protagonista dolorante/delirante dopo l’abbandono, tanto da toccare il fondo diventando una stalker, si può con profitto leggere altrove. Il fatto è che nel libro c’è dell’altro, come nelle due paginette che seguono, e di cui ci spiace Stancanelli non abbia disseminato con più generosità il suo racconto, regalandoci piccoli saggi sulla nostra contemporanea cultura (?) materiale.

Da: Elena Stancanelli, La femmina nuda (La nave di Teseo 2016, pp. 156, euro 17)

Ho iniziato a comprare soltanto cracker e succhi di frutta. (…) è sorprendente quanto siano cambiati da quando noi eravamo bambine. Anche i cracker sono migliorati: adesso sono più buoni, saporiti, e grazie a qualche miracoloso nuovo ingrediente non si sbriciolano più tra le dita quando ci spalmi sopra lo stracchino. Nella maggior parte dei casi è stata elimi¬nata la linea tratteggiata che li divideva a metà e che sarebbe dovuta servire per spezzarli meglio. Ma invece si risolveva quasi sempre in un pasticcio, come tutte le linee tratteggiate a partire da quelle delle bollette. Adesso i cracker sono interi e spesso contengono semi di vario tipo, farine preziose. Ci sono col sale sopra, senza sale sopra, integrali, ai cereali. Ma tutto sommato i cracker, a parte la linea tratteggiata, non sono molto diversi da quelli che ricorderai.
I succhi di frutta invece sono irriconoscibili. Quelli mono¬gusto non esistono quasi più: arancia, ananas, pompelmo. Solo alcuni discount li tengono ancora, in confezioni giganti con la scritta brutta. Hanno quel sapore aspro, un po’ DDR. Nessuno li compra, tranne le famiglie numerose di bengalesi, o gli ado¬lescenti quando fanno la spesa per le feste. Poi li mischiano con la vodka e li vomitano sui tappeti. Quello al pompelmo è micidiale, alla prima sorsata ti si chiudono tutte le papille sotto le orecchie, come se qualcuno stesse cercando di strangolarti. A volte quei succhi antichi li trovi anche sugli Eurostar o nei voli Alitalia.
I succhi moderni, occidentali, sono invece buonissimi. Com¬posti di frutti diversi, assemblati per colore, forma, utilità. Ce ne sono alla frutta rossa, gialla, bianca, blu, con aloe, ginseng, fiori d’arancio, energetici, digestivi, ACE. Hanno nomi curiosi, che evocano piaceri raffinati. E tutti contengono vitamine, an¬tiossidanti e roba che si presume debba fare bene e di cui tutti quanti evidentemente siamo carenti.
Ho pensato molto ai succhi di frutta in quell’anno. Perché preferiamo qualcosa che è composto di tante cose, più ce ne, sono e più siamo felici? Credo che sia una questione cruciale. Non ci fidiamo più, non riusciamo più a dire sì, voglio quello. Perché quello è fallace. E se si rivela aspro, troppo dolce? Non abbiamo la forza di difendere la nostra scelta. Per scegliere bi¬sogna immaginare che qualcosa sia migliore di qualcos’altro, o almeno che ci piaccia più di qualcos’altro. Scegliere è escludere. Ma noi non lo sappiamo cosa vogliamo, cosa ci piace. Non lo sappiamo più. E allora la cosa che ci rende più felici è il multiplo, meglio ancora se arricchito con altra roba. Un sapore indecifrabile ma buonissimo, del quale non si possa accertare l’origine. Non esiste nessun ACE in natura. Ormai quasi tutto quello che ci circonda è così, pensavo davanti a interi scaffali di succhi di frutta: multiplo e indecifrabile.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *