Un apologo sorridente della vita ridotta all’essenziale

Sara Baume, L’occhio della montagna, NNE 2023 (pp. 208, euro 18)

Non avevano niente da dimostrare, né agli altri né a sé stessi, lui e lei. Semplicemente, essendosi casualmente conosciuti, e piaciuti, hanno deciso di mollare tutto, città, lavoro, genitori e fratelli, e trasferirsi in un posto non lontano ma sperduto abbastanza, in una casa provata dal tempo ma ben collocata, vicina alla costa e ai piedi del monte che, come un “occhio colossale”, “stava di guardia al cielo al mare e alla terra”. Non avevano pretese del resto, Bell e Sigh, essendo entrambi giunti, benché ancora giovani, alla conclusione che “l’unica esistenza appropriata fosse quella che lascia meno tracce possibili, e progressivamente scompare”. L’uno a l’altro “curiosi di vedere cosa sarebbe successo se due misantropi solitari avessero provato a vivere insieme”. E dunque si sentono capaci di “inaugurare” una nuova famiglia – loro e i due cani che li accompagnano–, “senza regredire agli obblighi di       fare regali,      partecipare a riunioni,      o amare”. (Non sono errori tipografici gli spazi che spesso separano più del dovuto le parole: quella di Baume è una prosa che, soprattutto nella chiusa dei brani nei quali il testo si articola, assume movenze poetiche, come a suggerire dei fermoimmagine che inducono un rallentamento nella lettura).

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Una solidarietà muta

Maylis de Kerangal, Fuga a est, Feltrinelli 2023 (pp. 95, euro 12)

Coscritti, giovani chiamati alle armi che viaggiano sulla Transiberiana, il treno che percorre lentissimo, accumulando ritardi su ritardi, i novemila chilometri fra la capitale russa e Vladivostok: “vengono da Mosca e non sanno dove vanno, nessuno gli ha detto nulla”. Tra loro Alëša, vent’anni. Se ne sta nell’ultimo vagone, “la fronte premuta contro il vetro posteriore del treno, quello che dà sui binari” e guarda la “steppa viola e lanosa – il suo paese di merda”. Basta questo per farci capire: lui è uno dei tanti che “ha pensato di riuscire a evitare il servizio militare, a fregare il sistema e farsi esonerare”, “a Mosca non c’è un solo ragazzo tra i diciotto e ventisette anni che non provi a fare lo stesso”. E già qui la figura di Alëša, appena incontrata – siamo alle prime pagine – ci fa pensare a ragazzi come lui, quelli che Putin ha mandato in Ucraina, anche se questo libro, in Francia, è uscito undici anni fa, nato oltre tutto dalla riscrittura di un radiodramma che l’autrice aveva composto l’anno prima, dopo un viaggio sulla Transiberiana, invitata come altri scrittori francesi in Russia, mentre colleghi russi lo erano in Francia.

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Una passione persuasiva

Eugenio Borgna, Mitezza, Einaudi 2023 (pp. 114, euro 12)

“Mitezza è la capacità di cogliere che nelle relazioni personali – che costituiscono il livello propriamente umano dell’esistenza – non ha luogo la costrizione o la prepotenza ma è più efficace la passione persuasiva, il calore dell’anima”. Borgna parte dalle parole di Carlo Maria Martini per definire le “possibili articolazioni” di questa “esperienza umana così importante, e così dimenticata”. E così quotidiana, se lo si volesse: “Talora non ci rassegniamo a che sia l’altro a concludere il discorso e vogliamo per noi la battuta finale. Sarebbe bello imparare la beatitudine di chi, a un certo punto, sa tacere nell’umiltà lasciando che l’altro magari prevalga, perché non è poi così importante spuntarla”.

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Storie di cani e padroni

Regina Ezera, L’uomo ha bisogno del cane, Finis Terrae 2023 (pp. 134, euro 14)

La domanda – cui il titolo risponde affermativamente – la incontriamo già nelle prime pagine: “A cosa ti serve un cane?”, domanda il vecchio che cerca un compratore dei suoi quattro cuccioli. “Ho bisogno di qualcuno che mi venga appresso”, risponde il possibile acquirente, un ragazzo. Ma anche per il proprietario, questi cagnolini non sono solo cose di cui disfarsi. Li vende, sì, ma preoccupandosi del loro destino, resistendo alla richiesta del tizio che col suo fare dimostra di non essere “adatto all’alto compito di essere il padrone e l’amico di un cane”. Ma fa freddo, molto freddo, e di quei pochi soldi il vecchio ha bisogno per poter tornare a casa, riscaldarsi, bere un grog…

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L’apocalisse prossima ventura

Nouriel Roubini, La grande catastrofe. Dieci minacce per il nostro futuro e le strategie per sopravvivere, Feltrinelli 2023 (trad. Giancarlo Carlotti, pp. 314, euro 22)

Noto per essere stato l’unico economista, almeno fra quelli quotati internazionalmente, a prevedere la crisi del 2008, Roubini non perde occasione per proseguire il discorso allora coraggiosamente avviato e ampiamente criticato dal consesso di Davos: “Se tutti quanti nel gruppo di Davos – non esita ad affermare – credono che succederà qualcosa di bello o di brutto, è assai probabile che si sbaglino”. Con l’aggravante che si guarderanno bene, poi, dal ravvedersi, in forza di un “giudizio umano bacato” che impedisce a chi detiene le leve dell’economia di “frenare le tendenze suicide” insite nel “ciclo di boom-e-declino” che segna la storia economica dalla Grande depressione ad oggi. È anche un libro di storia, questo, di storia del malgoverno o del non governo dell’economia ad ogni livello, nazionale e sovranazionale.

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La rivoluzione della sufficienza

Wolfgang Sachs, Economia della sufficienza. Appunti per resistere all’Antropocene, Castelvecchi 2023 (pp. 76, euro 12,50)

“La ‘rivoluzione dell’efficienza’ rimane cieca se non è accompagnata da una ‘rivoluzione della sufficienza’”: l’enunciazione generale si chiarisce se si pensa alle automobili di oggi, sempre più veloci, ed efficienti appunto, ma, anche, sempre più numerose, al punto che la rapidità degli spostamenti che potrebbero garantire è in gran parte contrastata dall’intralcio del traffico urbano, che rappresenta una quota pari all’80 per cento dell’uso complessivo che facciamo delle auto. Senza contare il nesso tra velocità e inquinamento. E allora: perché non costruire mezzi che non superano i cento chilometro orari? E invece no: si continuano a sfornare “velocimobili” costrette poi a non superare i 25 km/h, in una logica – si fa per dire – che somiglia a quella di chi si munisce di una motosega per tagliare il burro.

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La costruzione culturale degli alberi

Zenon Mezinski, L’albero nella pittura, Einaudi 2022 (pp. 204, euro 48)

Prima gli animali, poi gli alberi. Per la maggior parte di chi ha via via acquisito una “coscienza ecologica” la non scontatezza e la problematizzazione della presenza delle piante sono venute dopo che un nuovo sguardo si era posato sugli animali. La sedentarietà dei vegetali ha cessato di apparire una mancanza in confronto con la mobilità degli animali, rivelandosi oltre tutto un’apparenza, il modo di manifestarsi di una lentezza che non è immobilità, così come vegetale ha smesso di suonare come sinonimo di insensibile, o di ottuso, privo di qualsiasi moto di pensiero: l’intelligenza degli alberi, o addirittura il pensiero delle foreste, sono ormai temi di divulgazione.

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Kafka rivisitato

Moshin Hamid, L’ultimo uomo bianco, Einaudi 2023 (pp. 132, euro 16)

Quando Gregor Samsa si svegliò un mattino da sogni inquieti, si trovò trasformato, nel proprio letto, in un immenso insetto. /“Un mattino Anders, un uomo bianco, si svegliò e scoprì di essere diventato di un innegabile marrone scuro” (e del resto anche Gregor “si vedeva la pancia marrone”).
Impossibile non avvertire echi del più famoso racconto kafkiano in questo che si è cominciato a leggere. In entrambi i casi, i protagonisti si guardano attorno cercando nella familiarità del luogo una smentita della terribile scoperta appena fatta: “Il bagno – di Anders – era familiare nel suo confortante squallore”, così come la camera era lì tranquilla con i suoi quattro muri ben noti a Gregor. Senonché, mentre questi non sembra atterrito dalla propria metamorfosi o, quantomeno, il si direbbe tenti da subito di farci i conti, pur continuando a pensare a sé stesso come al commesso viaggiatore che è sempre stato, Anders si ribella: “la faccia che aveva sostituito la sua lo riempì di rabbia (…).

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Un’erosione culturale

Gian Luigi Beccaria, In contrattempo. Un elogio della lentezza, Einaudi 2022 (pp. 112, euro 12)

Si dice velocità e subito si pensa ad aerei e a internet, al presente insomma, ma occorre riflettere: senza la velocità “non avremmo capolavori come Le nozze di Figaro” e molta altra musica del passato, né avremmo avuto le fiabe, non a caso indicate dal Calvino delle Lezioni americane come esempi di “rapidità”. Non è con questo genere di celerità che l’autore si pone “in contrattempo”, ma con quella che, estendendosi al leggere come allo scrivere, e conquistando il lettore quanto l’autore, “sta dando luogo a un’erosione culturale la cui portata ancora non siamo in grado di valutare”. La velocità, nella sostanza, non è sempre sinonimo di guadagno, ma comporta una perdita secca anche se non facilmente definibile.

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Lo scrittore e gli altri

Colm Tóibín, Il Mago, Einaudi 2023 (pp. 512, euro 24)

Come nel rapporto con le persone, così in quello con i libri occorre aver presente che non ha senso, ed è fonte di dispiaceri e fraintendimenti, chiedere ciò che non ci può essere dato. Se crediamo di poterci rivolgere a questa “biografia romanzata” di Thomas Mann – questa la definizione apparsa in diverse recensioni – per sapere qualcosa di più sul modo in cui le opere dello scrittore si sono raccordate alla sua biografia, come questa ha favorito o in qualche misura reso necessarie quelle – un po’ come avviene nelle Memorie non scritte della moglie, Katia Mann –, andiamo incontro a una delusione. Non è questo che, a quanto pare, Tóibín si proponeva di fornire, quanto piuttosto una storia della famiglia Mann – che si viene così ad aggiungere alle non poche già pubblicate – e dunque dei rapporti via via stabiliti tra il Mago, com’era scherzosamente chiamato dai figli, e questi ultimi; tra lui e la moglie Katia; tra lui e il fratello Heinrich.

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Il valore dell’autenticità nell’epoca dell’individualismo

Gilles Lipovetsky, La fiera dell’autenticità, Marsilio 2022 (pp. 400, euro 20)

Il narcisismo, il presentismo, la spettacolarizzazione: modi di essere e di pensare, tendenze dominanti utili per descrivere il mondo di oggi. Di volta in volta leggiamo libri che contano di aver individuato la chiave per interpretare lo spirito dei tempi in cui viviamo, e hanno tutti le loro ragioni, anche perché non si tratta spesso che di accentuazioni di aspetti che nella realtà rimandano l’uno all’altro al punto che distinguerli appare un puro esercizio. Rientra in questo quadro anche la proposta dell’autenticità quale valore, ideale, orizzonte cui ricondurre le diverse manifestazioni che caratterizzano la società attuale.

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Vivere il dolore della perdita

Massimo Recalcati, La luce delle stelle morte. Saggio su lutto e nostalgia, Feltrinelli 2022 (pp. 142, euro 16)

Vivere significa accumulare perdite. Delle persone che amiamo e da cui siamo amati (quando “il trauma della perdita consiste innanzitutto nel fatto che non c’è più nessuno ad attendermi”), ma anche di età della propria vita irrimediabilmente trascorse, di amori e speranze, di progetti nei quali ci identificavamo e si sono poi rivelati irrealizzabili. E non preserva dal dolore sapere che “ogni legame implica la possibilità della sua dissoluzione non come un’eventualità tra le altre, ma come un suo inevitabile destino”.

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La vita in un’epoca di disastri incombenti

Paolo Giordano, Tasmania, Einaudi 2022 (pp. 266, euro 19,50)

Paolo – si chiama come l’autore, il protagonista – comincia col raccontare del suo soggiorno a Parigi nel 2015, giornalista accreditato alla Conferenza sull’emergenza climatica, per soggiungere subito, legando l’occasione pubblica alla sua dimensione personale, che “se non ci fosse stata in previsione una conferenza sul clima è probabile che avrei inventato un’altra scusa per partire, un conflitto armato, una crisi umanitaria, una preoccupazione diversa e più grande delle mie da cui farmi assorbire”. Il romanzo è già tutto qui, in questa ammissione di adesione alla propria epoca e, nello stesso tempo, di propensione a prenderne le distanze cercando compulsivamente un altrove in cui trovare un equilibrio, se non una soluzione definitiva alla propria inquietudine.

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Vita e letteratura in un paese senza memoria

Svetlana Aleksievič, Una battaglia persa, Adelphi 2023 (pp. 46, euro 5)

“Quando cammino per strada e afferro parole, frasi, esclamazioni, penso sempre a quanti romanzi scompaiono senza lasciare traccia. Svaniti nel tempo. Dissolti nelle tenebre. C’è tutta una parte della vita umana, quella del parlato, che non riusciamo a portare nella letteratura. (…) non ce ne siamo fatti stupire o incantare. Io, invece, ne sono ammaliata e prigioniera”. È questa la “battaglia persa” della giornalista e scrittrice russa? la battaglia contro il senso comune letterario, la miopia, o l’indifferenza, degli scrittori? Senza d’altra parte dimenticare l’opacità che caratterizza l’altro versante, quello della gente, fatta di quegli stessi che pure sono portatori di storie.

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Luoghi e oggetti di un sentimento volubile, la memoria

Il libro della memoria. Dimore, stanze, oggetti. Dove abitano i ricordi, a cura di Antonella Tarpino, il Saggiatore 2022 (pp. 317, euro 24)

Un’antologia di testi: la curatrice stessa tiene a far derivare questo libro dal suo precedente Geografie della memoria. Case, rovine, oggetti quotidiani (Einaudi 2008), nel quale, come il sottotitolo evidenziava, si metteva in luce la tendenza della memoria a “(rinarrare) il tempo attraverso lo spazio”, tendenza che la letteratura ha spesso praticato essendo “capace – come notava Zygmunt Bauman – di rendere la solidità e la liquidità, l’omogeneità e la pluralità, il liscio della continuità ma anche l’agro, il ruvido, il crocchiante che abitano le nostre esistenze”.

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Gli animali, umani e non, e la morte

Susana Monsó, L’opossum di Schrödinger. Come vivono e percepiscono la morte gli animali, Ponte alle Grazie 2022 (pp. 272, euro 18)

Quasi ormai impossibile leggere che il possedere un’anima distingua gli uomini dagli animali, rara l’attribuzione della distinzione all’intelligenza, frequente quella al linguaggio, ma da qualche tempo diffuso, e dominante sulle altre si direbbe, la convinzione che a far la differenza sia la consapevolezza della morte, che disinvoltamente autori della più diversa estrazione, e sensibilità, si dichiarano pronti a negare negli animali non umani. Un po’ come può capitare, anche se meno frequentemente, di sentire che i vegetali non saprebbero di vivere, nonostante l’intelligenza in loro individuata da uno stuolo di botanici. Al di là della loro fondatezza, simili posizioni appaiono accomunate dall’incapacità di pensare che non esista altro modo di rapportarsi alla morte, e alla vita, che non sia il nostro.

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Vicini animali

Helen Macdonald, Voli vespertini e altri saggi su ciò che la natura ci insegna, Einaudi 2022 (pp. 302, euro 20)

“Ogni scrittore ha un tema”: “a me piace pensare che il mio tema sia l’amore, e più precisamente l’amore per il luccicante mondo della vita non umana che ci circonda”. È per dar voce a questo amore che Macdonald da storica della scienza diventa scrittrice, senza comunque rinnegare il suo passato: “La scienza fa qualcosa che sarebbe bello facesse anche la letteratura: dimostrarci che viviamo in un mondo eccezionalmente complesso di cui non siamo il fulcro”. Ma è solo la letteratura a farci vivere non come un motivo di frustrazione ma come fonte di arricchimento e comprensione, di noi stessi in primo luogo, l’incontro con la pluralità dei viventi.

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L’arte di lasciare spazio al lettore

Claire Keegan, Piccole cose da nulla, Einaudi 2022 (pp. 94, euro 13)

“In ottobre gli alberi erano gialli (…) poi arrivavano i venti di novembre, soffiavano senza sosta spogliavano i rami”; “Mai viste tante cornacchie a dicembre”; “Per la settimana di Natale era prevista neve”: è con notazioni sul tempo atmosferico che spesso iniziano i capitoli, ci pare di vederlo il clima della cittadina irlandese di New Ross, e anche la sua gente, che “perlopiù sopportava il maltempo, scontenta: bottegai e artigiani, uomini e donne alle poste e in coda per la disoccupazione, alla sala bingo, nei pub e in friggitoria non facevano che parlare, ciascuno a modo suo, del freddo e di quanto era piovuto”. Dei tempi pare non si parli invece, i tempi difficili che l’Irlanda viveva negli anni Ottanta, segnati da una recessione che l’aveva portata a registrare il più alto tasso di disoccupazione in Europa.

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La nostalgia di chi non se n’è andato

Vito Teti, La restanza, Einaudi 2022 (pp. 160, euro 13)

“La nostalgia dell’altrove riguarda anche chi è rimasto e assiste alla fine del mondo in cui è nato”, “melanconico abitatore di un mondo da cui non si è mosso”, “nostalgico sognatore di un mondo che non conosce”: il ruolo attivo, progressivo, della nostalgia e la condizione di chi resta – la restanza appunto – come l’altra faccia di quella in cui si trova chi ha invece scelto la partenza e ha abbandonato il luogo in cui era nato e aveva vissuto. Le acquisizioni critiche che si sono lette nel precedente libro che l’antropologo calabrese aveva dedicato all’argomento (Nostalgia. Antropologia di un sentimento del presente, in queste note nell’aprile 2021) si ritrovano in questo, come riferimenti di un unico discorso nel quale, oltre ai risultati della ricerca, entra la memoria autobiografica di un restante, quale Teti è: “La mia piccola esperienza locale è ricca di padri che partivano e di madri che restavano (…). Per me, ne ho coscienza chiara, da sempre partire e restare sono stati indissolubilmente legati”.

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La terribile malattia che la gente stupidamente chiama ‘non avere niente’

Proust. Del buon uso della cattiva salute. Lettere di un malato immaginifico, a cura di Eusebio Trabucchi, L’orma 2022 (pp. 64, euro 7)

Il titolo ricalca quello della Preghiera per domandare a Dio il buon uso delle malattie di Pascal: “Tu mi hai dato la salute per servirTi, e io (sovente) ne ho fatto un uso tutto profano.
Mi mandi ora la malattia per correggermi: non permettere che io ne usi per irritarTi con la mia impazienza! (…) Fa che io mi auguri salute e vita soltanto per impiegarla e concluderla per Te, con Te, in Te!” Basta immaginare che il Tu cui il filosofo si rivolgeva non coincida con il Creatore ma sottintenda un’altra entità – la Scrittura – ed ecco trasparire, nel volto spigoloso e glabro dell’autore dei Pensieri,quello pallido e baffuto di Marcel Proust, autorelegatosi nella famosa camera dalle pareti foderate di sughero e dedito notte e giorno alla composizione della sua grande opera.

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La pazienza, virtù inattuale

A. Tagliapietra, I cani del tempo. Filosofia e icone della pazienza, Donzelli 2022 (pp. 191, euro 34)

Lasciamo da parte i riferimenti, numerosi e puntuali, alla storia del pensiero filosofico e a quella dell’arte, che ricorrono ad ogni pagina. L’originalità di questo libro sta innanzitutto nel fare, e nel costringerci a fare, i conti con una virtù d’altri tempi, la pazienza: “Nella trama della contemporaneità, là dove l’affermazione del progetto ideologico della ragione strumentale votata alla produzione per la produzione sembra giungere a compimento, innervando con virale capillarità e pervicace ostinazione le forme della vita quotidiana, la pazienza appare una virtù del tutto inattuale. (…) L’impazienza può essere ritenuta la cifra contemporanea dell’esperienza soggettiva o, se si vuole, la causa stessa della sua mancanza, vale a dire il movente per cui si inseguono, con sempre maggiore frenesia, situazioni e circostanze che sembrano cariche di esperienze possibili, ma che, una volta raggiunte, non mantengono mai quello che avevano promesso”.

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