Raccontare i luoghi, raccontare il dolore

Germana Urbani, Chi se non noi, Nottetempo 2021 (pp. 209, euro 14)

Lui, lei, l’altra, l’amore e il disamore: sarebbe una storia come tante se non intervenissero due componenti decisive.

L’ambiente in cui la vicenda si svolge, innanzitutto, il paesaggio che ne è parte sostanziale: gli orizzonti sconfinati di terra e di acqua del Delta del Po, come nei film di Mazzacurati e nelle fotografie di Luigi Ghirri, come nel Celati di Verso la foce, nel Malguti di Se l’acqua ride (ne abbiamo parlato qui), nel Belpoliti di Pianura (ne abbiamo parlato qui) . Luoghi che segnano l’identità e il destino dei loro abitanti, fatti di “un impasto di terra e di acqua”, di un “fango che anche fuggendo lontano ti rimane addosso; luoghi che la scrittura di Urbani sa restituire in contrappunto alla narrazione dei fatti (“Con lo sguardo cerco sull’argine di fronte a me un filare composto di pioppi altissimi che, a intervalli perfetti, rompono la monotonia dell’orizzonte. Si alzano maestosi da queste terre piatte come monaci in processione, custodi mistici del silenzio naturale delle cose”).

Maria è fatta di quei luoghi e insieme se ne stacca, trasgredendo la regola di rassegnazione dei genitori e dei fratelli: è andata in città, a studiare; la passione per la fotografia si è sviluppata in parallelo con quella per la bioarchitettura: “Ridisegnare quartieri, sollevare il morale ad alcuni brutti palazzi o periferie, contagiare il cemento assoluto con i colori e gli alberi del mio Delta sarebbe stato il mio grande sogno”.

Lui, Luca, non aspira invece a lasciare la terra dov’è nato, non ha sogni, non ha la determinazione di dotarsi di strumenti che gli permettano di formulare un progetto biografico: è Maria a trascinarlo, nello studio, poi nel lavoro, perché lei lo ama, più di quanto lui ami lei. Perché Luca sa darle il senso di un’irripetibilità del loro rapporto e di una complicità inscalfibile che si riassume nella frase che spesso le sussurra: “Chi se non noi”.

Come in molte storie d’amore è l’uomo a uscirne male: Maria scommette su Luca, gioca il proprio futuro sulla speranza di una convivenza in cui l’amore e la passione professionale possano convivere, se non fondersi. Lui, sempre affascinante e persuasivo, le resiste, prima, la sfrutta poi, appropriandosi dell’energia e delle creatività di lei. La quale non sa non amarlo, anche se non può non vedere il risvolto oscuro della sua personalità: “Amavo la parte immensa, dolce e azzurra di lui. Ma quanto mi deludeva il resto”. Una storia di ordinario, distruttivo, egocentrismo: così si potrebbe anche leggere l’evoluzione del rapporto di Maria e Luca, che repentinamente la lascia per un’altra in tutto diversa da lei.

E qui interviene la seconda componente che caratterizza il romanzo. Si legge spesso di quanto sia difficile descrivere, raccontare il sesso senza cadere nel grottesco o nel volgare, ma corre un rischio simile, la scrittura, quando si occupa del dolore: il rischio del patetismo, o dell’incomunicabilità di sentimenti per loro stessa natura renitenti a lasciarsi tradurre in parole. Urbani accetta questa sfida: la caduta di Maria in uno stato di prostrazione che giunge a metterne in pericolo l’equilibrio mentale, con il seguito di cure psichiatriche e ricorso massiccio agli psicofarmaci, si fa materia di un racconto coinvolgente, perché verosimile, attento alle sfumature di un dolore che si salda ai luoghi in cui viene vissuto: “Mi immagino come il campaniletto di Rivà. Svetta solitario su campi e pioppeti (…). È un testimone ambizioso di qualcosa che ricorda solo lui: la chiesa e il borgo spazzati via dall’alluvione del 2 novembre del ’60”. La violenza del dolore come la forza dirompente delle acque, o addirittura peggio: “Una valanga di lava che ti investe e trascina con sé tutto ciò che sei stata”.

Non c’è soluzione a questo calvario, non sappiamo come e se Maria ne uscirà, anche se non mancano i segni di una possibile ripresa: la ricomparsa del desiderio, quando un’amica riesce a convincerla a riprendere in mano la macchina fotografica, e, proprio nel mezzo di un delirio di vendetta contro la nuova amante di Luca, la notizia che certe sue idee progettuali sono state accettate, quando ormai la rinuncia al lavoro nello studio di architettura sembrava definitiva.

Ma non sono queste le note finali del romanzo, che si chiude com’era cominciato, sfociando nelle note descrittive del “dedalo liquido delle acque (…) dove i cieli si spalancano come da nessun’altra parte”.

Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.

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