Una lezione di metodo

Gianni Sofri, L’anno mancante. Arsenio Frugoni nel 1944-45, il Mulino 2021 (pp. 142, euro 12)

Suo allievo negli anni Cinquanta alla Normale di Pisa, Gianni Sofri scrive più di sessant’anni dopo di Arsenio Frugoni – bresciano d’adozione, medievalista, autore di Arnaldo da Brescia nelle fonti del secolo XIII. Perché? Perché imparò da lui qualcosa di essenziale, un’“idea di ricerca” segnata dal “suo gusto del suggerire anziché dell’esplicitare”, dal suo invito continuo a leggere finemente nelle righe e fra le righe. E ancora, dal suo amore per la complessità”. Tutte qualità che possono essere attribuite alla ricerca di Sofri su quei dieci mesi nei quali Frugoni fece il pendolare – in bicicletta, più di 120 chilometri all’andata e altrettanti al ritorno – fra Solto Collina, sul lago d’Iseo, dove stava la famiglia, Brescia e Gargnano, il paese gardesano in cui risiedeva Mussolini (circostanza che, fra altri, ha documentatamente ricostruito  il gargnanese Bruno Festa, giornalista e storico, in Polvere nera. I 600 giorni di Mussolini a Gargnano). Il fatto è – e qui sta una seconda motivazione della ricerca – non si conoscono con certezza le ragioni per cui il ventinovenne storico andasse là. Se non quelle ufficiali: padrone della lingua tedesca dopo un periodo di studio a Heidelberg e un soggiorno di lavoro a Vienna, trova impiego come insegnante di italiano e interprete presso l’Ufficio di collegamento fra l’Alto comando della Wermacht e la Repubblica sociale.

Sofri raccoglie le testimonianze oltre che dai familiari, presso altri che in quel periodo frequentavano Frugoni: “ricordi sparsi”, “silenzi e imbarazzi”, addirittura “muri di gomma”, a Brescia, sono le reazioni che suscita (una fra tutte, quella di Bruno Boni, che raggiunto telefonicamente elogia con calore lo storico per poi negare recisamente di averne ricevuto un aiuto decisivo in una situazione drammatica).

Si entra così nel vivo di un resoconto di ricerca nella quale, come ricorda Sofri, “la curiosità di Chiara – figlia di Frugoni, anche lei medievalista,  che tuttora passa l’estate nella casa di Solto Collina – si (è) intensificata incrociando la mia”, facendosi tanto serrata da coinvolgere pagina dopo pagina il lettore, che sa sempre meno  se il proprio interesse sia più catturato dalla vicenda del protagonista o dalla ricerca stessa che cerca di farvi luce. Come è bene fare quando si riferisce di un racconto che ha il sapore dell’investigazione, non conviene seguire il percorso dell’indagine in tutti nei suoi passi successivi: Frugoni, senza essere un militante antifascista, non ha simpatie per il regime e tantomeno per i nazisti, questo è certo; quanto ai suoi rapporti con l’antifascismo, centrale è sicuramente la sua assidua frequentazione dell’oratorio della Pace a Brescia, in cui l’antifascismo cattolico ha un punto di riferimento essenziale.

Quel che invece non si può tralasciare di sottolineare  è la lezione di metodo che il libro offre: la ricerca non illustra solo i risultati via via raggiunti, ma anche quelli che ci si aspettava ed è stato impossibile ottenere, sicché i forse e i condizionali ricorrono nel discorso, ricco di non sappiamo con certezza se… e di non si è riusciti a scoprire…: è il lavoro dello storico, il suo laboratorio al centro del racconto che, coerentemente, approda non ad una soluzione, ma ad un’ipotesi verosimile: “più che una trasmissione sistematica di notizie poteva esserci una specie di accordo silenzioso per cui entrambe le parti – i padri filippini dell’oratorio bresciano e gli ufficiali della Wermacht – vedessero possibili vantaggi nella presenza di un personaggio così particolare”. Oltre alle sue caratteristiche, del resto – “la figura stessa dell’uomo, il suo fascino personale, il suo essere persona di cultura già affermata e stimata benché ancora giovane, il suo savoir faire” – a balzare in primo piano nel corso dell’esperienza di Gargano fu “il suo coraggio, che gli valse anche il profondo rispetto del nemico. Si trova qui l’aspetto principale di un bilancio, assai più che nelle amarezze e nelle delusioni che Frugoni poté provare a guerra finita, quando alcune delle solidarietà e delle coperture che lo avevano accompagnato cedettero il campo ad altri atteggiamenti, che andavano dall’ignorare e misconoscere il suo operato fino a farlo oggetto di biasimo ipocrita”.

Quello che abbiamo letto, alla fine, è sì il tentativo di ricostruire una vicenda misteriosa e intricata, ma è anche il racconto di un’esperienza umana e politica vissuta da un uomo che preferì, su quei mesi, mantenere il silenzio. Fino al 1970, quando un incidente automobilistico pose prematuramente fine alla sua vita.


Questa nota su L’anno mancante è apparsa anche sull’”Eco di Bergamo” dello scorso 13 agosto, in occasione di una presentazione del libro che si è tenuta in quella città. L’autore ha inviato questo messaggio:

“A Carlo Simoni, un grande ringraziamento per la bellissima recensione al mio libro.

L’ho letta con grande piacere per molte ragioni, due su tutte le altre. Innanzitutto, per la sua capacità di rendere in maniera molto chiara e semplice al lettore il contenuto del libro. Sembrerà forse a qualcuno poca cosa, ma non lo è affatto. Quando un recensore fa capire a un potenziale lettore di cosa parla il libro, che cosa vi si può trovare e che cosa no, com’è organizzato, e così via, ha già svolto un ruolo fondamentale che spesso viene dimenticato in recensioni che vengono usate come pretesti per tutt’altri discorsi. Ma oltre a questo aspetto, diciamo pure tecnico della recensione, c’è un altro elemento che ho molto apprezzato, ed è, scusate il bisticcio, il suo apprezzamento di aspetti metodologici, che si potrebbero riassumere nell’assunzione della ricerca a protagonista, e nell’offerta al lettore di partecipare ad ogni sua fase.

A Simoni vorrei dire che ho gradito molto questa attenzione alla ricerca. Per la verità, questo non era tra i miei propositi iniziali. E in generale non ho mai amato molto (penso in particolare ai molti decenni in cui ho insegnato) discettare più di tanto sul metodo. Ciononostante, è accaduta una cosa anche un po’ strana, e cioè che l’attenzione alla ricerca, e la sua esposizione pubblica, mi si sono imposte poco per volta per conto proprio, finché non le ho accettate. Non ho cambiato idea circa la mia antica ostilità verso le teorie dei metodi, ma sono rimasto alla fine molto contento di essere riuscito (e molti me lo hanno scritto) a presentare una ricerca vera, per come si svolge realmente, con tutte le sue difficoltà. Che alla fine Carlo Simoni abbia intitolato “Una lezione di metodo” mi ha inorgoglito non poco. Grazie mille a lui. E grazie anche per un’altra cosa, e cioè per non aver dimenticato (al contrario, gli ha dato risalto) che al di là del problema della ricerca e di una buona esposizione, resta l’obiettivo primario di questo lungo lavoro che mi ha appassionato: rendere giustizia a un grande storico e a una grande persona”.

Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *