Un atlante per gli umani del primo Antropocene

Telmo Pievani, Mauro Varotto, Viaggio nell’Italia dell’Antropocene. La geografia visionaria del nostro futuro, Aboca 2021 (pp. 189, euro 22)

Prima del testo sono le carte geografiche, a partire da quella in copertina, a impressionare. Ognuno, immagino, guarda ai luoghi in cui vive: Brescia non la si trova, non è segnata nella carta. Ma il disappunto si trasforma in consolazione appena ci si rende conto che il suo nome non appare come quello di altre città che ancora si trovano sulla terra ferma. A differenza, per rimanere dalle nostre parti, di Cremona e Mantova, i cui nomi spiccano sull’azzurro del mare che ha invaso la Pianura padana; Verona è lì lì: una città della costa… A quale era geologica risale la situazione così rappresentata, viene da chiedersi, se non si è ancora letto il sottotitolo: la geografia di quest’Italia inondata al nord e frastagliate di golfi e fiordi per il resto delle sue coste non è quella di un passato lontano, ma di un futuro abbastanza vicino (se si ragiona su scala geologica). Mille anni. Il 2786. Mille anni dopo che Goethe aveva iniziato il suo Viaggio in Italia. È vero che si tratta di una geografia “visionaria”, ma lo scenario, ci avvertono gli autori, è “utile per riflettere sul fatto che l’assetto ereditato del nostro territorio non è affatto scontato, e che è oggi nostra la responsabilità di orientarlo in una direzione o nell’altra”. Si tratta di vedere “se la nostra azione rimarrà sorda ai moniti di studiosi, scienziati e organizzazioni internazionali, al loro invito a invertire la rotta, riflettendo sulle ricadute climatiche e ambientali del nostro attuale modello di sviluppo e di vita”.

L’ennesimo libro-denuncia delle catastrofi che il riscaldamento climatico comporta, dunque? Sì, ma costruito narrativamente – nella consapevolezza della difficoltà (altrimenti insormontabile?) di coinvolgere il lettore perché smetta di credere alla questione senza per questo smettere, come tutti, di comportarsi come non ci credesse. Una resistenza che costituisce un problema altrettanto grande  della stessa crisi ambientale, come ci ricordano molti autori (fra cui, recentemente, Carla Benedetti, nel suo La letteratura ci salverà dall’estinzione, ne abbiamo parlato qui).

Capitoli che riferiscono dati e offrono spiegazioni scientifiche si alternano al racconto del viaggio che Milordo compie, per forza di cose, a bordo di un battello (a idrogeno). Prima tappa, una volta salpati dal porto di Udine, Venezia. Una Venezia sommersa non a causa dell’“acqua granda, che prima o poi si ritira, no, proprio sommersa, e per sempre. (…) ferma come in un acquario, stranamente simile a quelle Venezie messe dentro le bocce con la neve che cade quando le capovolgi. La città era diventata un souvenir di sé stessa”. Ma non c’è solo questo futuro distopico per quanto raccontato con leggerezza, nel resoconto del Grand Tour di Milordo. C’è anche il passato, un passato che è il nostro presente. Come la guida informa, “verso l’inizio del Terzo Millennio gli abitanti della laguna erano riusciti invero a realizzare una diga di contenimento delle acque alte, dopo decenni di ritardi, malversazioni, sprechi miliardari”, ma non in tempo: “l’Adriatico si era alzato abbastanza da superare quel povero anacronistico argine”. Quel che era avvenuto a Venezia, comunque, era la conseguenza di un atteggiamento più generale: “gli umani del primo Antropocene avevano accarezzato l’idea che le tecnologie da sole potessero salvarli. Pur di non ammettere che avrebbero dovuto cambiare stili di vita e di consumi, avevano iniziato a progettare muraglie difensive per fermare gli oceani”.

Ed ecco, dopo quello fantascientifico, il capitolo propriamente scientifico: “Di fronte a un’Italia così a bagnomaria, la domanda che sorge spontanea è se davvero un giorno il nostro Paese potrà ridursi in questo modo. La risposta, a livello teorico, è sì: può accadere perché è già accaduto in passato”, nel Pliocene, tra i 5 e i 2,5 milioni di anni fa. Ma non si tratterebbe di un déjà vu: “la rapidità dei processi in atto” è incomparabile a quella del passato e poi, fatto non trascurabile, allora “il genere umano non aveva ancora messo piede in Italia”. “Quelle che ci attendono sarebbero dunque trasformazioni di portata e rapidità tali che nessuna generazione umana ha mai vissuto prima d’ora”: “verrebbe sommersa la parte del Paese più abitata e popolosa, oltre che più ricca e produttiva”; “numerose città si troverebbero sotto almeno 40 o 50 metri d’acqua” (oltre a Venezia, Trieste, Padova, Ferrara, tutti i capoluoghi liguri, Pisa e Lucca, Roma e Napoli, Palermo e Cagliari, e molte altre); Verona, per dirne una, ma anche Bologna, dovrebbero trasformarsi in una distesa di “palafitte urbane”. La prevedibile conseguenza sarebbe quella di un “esodo di proporzioni bibliche verso il nord e l’Europa continentale”, simile a quello di cui abbiamo letto in un romanzo come quello di Bruno Arpaia, Qualcosa, là fuori, ne abbiamo parlato qui, anche se in quel caso la migrazione si immaginava causata dalla siccità. Ma attenzione: scioglimento dei ghiacci con conseguente innalzamento dei mari e riscaldamento globale con conseguente carenza di acqua nelle terre rimaste asciutte non sono fenomeni che si escludono, come ci viene spiegato in un altro capitolo, Acqua dolce che cala, acqua salata che cresce).

L’Italia che Milordo visita è frutto di proiezioni teoriche, gli autori lo ripetono, ma avvertono: “anche se questo scenario può definirsi a ragione apocalittico, e lontano dal verificarsi, non sono in ogni caso da sottovalutare le conseguenze ben più reali previste da qui a fine secolo.” Chi voglia seguire il giovane del 2786 nel seguito del suo viaggio, e gli autori nei loro commenti, lo tenga presente: “il Grand Tour di Milordo nell’Italia dell’Antropocene parla di noi, oggi”.

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