La cultura e l’arte di arrangiarsi

Franco Faggiani, Non esistono posti lontani, Fazi 2020 (pp. 285, euro 18)

Monuments Men: è il film del 2014 a tornare in mente. Anche nel romanzo di Faggiani si tratta infatti di strappare al furto dei nazisti quadri di valore. Ma i protagonisti di questo romanzo non sono eroi. Un duo donchisciottesco, piuttosto: il professor Filippo Cavalcanti, archeologo di fama – è frutto di uno scavo da lui diretto il prezioso sarcofago che sta per prendere la via della Germania insieme al resto – degradato a oscuro impiegato negli scantinati del ministero, è un colto e convinto difensore del patrimonio artistico nazionale. Spedito da Roma a Bressanone per controllare il regolare svolgimento del trasporto non si lascia scappare l’occasione di impedirlo, mosso da senso di giustizia e civile spirito di servizio più che da una presa di posizione antifascista che in lui – per sua stessa ammissione: è la voce narrante – non ha mai superato i limiti di “un’opposizione minima, un fatto d’orgoglio personale”. Non ce la farebbe tuttavia se non incontrasse casualmente Quintino, giovane ladruncolo di Ischia mandato lassù al confino, maestro nell’arte di arrangiarsi, animato da un ottimismo inattaccabile. È lui, meccanico provetto, a rubare un camion grosso e potente (“’o rinoceronte”), a dargli l’aspetto di un mezzo della Croce Rossa, a caricarvi le casse in cui si custodisce il prezioso carico e generi alimentari da barattare con carburante, a ideare un percorso che, per giungere a Roma, passerà per la Svizzera e il Piemonte al fine di evitare tedeschi e repubblichini.

A poco a poco, il dislivello culturale e la differenza di età fra i due (il professore, tanto distinto da non sfigurare nel travestimento da colonnello tedesco, ha passato i settanta), così come il divario fra il disincanto pessimista dell’uno e l’intraprendenza  spregiudicata dell’altro, vanno attenuandosi e il professor Cavalcanti devo ammetterlo: Quintino, orfano di madre, con un genitore violento, cresciuto grazie alle cure provvidenziali di una signora altolocata e nonostante ciò finito a fare il ladruncolo, è  “davvero un ragazzo sveglio e allegro, con un passato difficile ma che in un futuro meno severo se la sarebbe potuta comunque cavare senza difficoltà”.  Non lo dimostrano solo le sue trovate geniali, che trovano nell’attempato compagno una spalla sempre meno renitente, ma anche la sua generosità con i poveracci che incontrano in una lunga peregrinazione lungo la linea Gotica in fase di costruzione: un monaco errante, un donna nascosta in  un cimitero coi due figlioletti, grazie alla quale possono incontrare il marito, capo partigiano, e poi altri monaci, a Camaldoli e a Fonte Avellana, finché finiscono nelle mani dei tedeschi, e saranno ancora una volta il coraggio e la prontezza, il “genio selvatico”  di Quintino a salvarli e a permettergli di giungere a Roma, nel frattempo liberata e nella mani di americani che si mostrano tuttavia non meno famelici dei tedeschi quando sentono parlare di opere d’arte allo sbando. E allora non c’è che una soluzione: proseguire il viaggio, puntare su Ischia, perché “non ci sono posti lontani”.  È dunque là che finiranno i quadri dopo un viaggio di centinaia di chilometri: mimetizzati fra i falsi di cui la marchesa, ormai svanita ma sempre abile nella copia pittorica, ha costellato le pareti della sua villa. E a Ischia, benché promosso a sovrintendente alle Belle arti e ai Beni archeologici nella capitale, ma in una situazione che rende impossibile l’esercizio di un ruolo del genere, finirà anche il professore, in attesa che torni ad esistere uno Stato abbastanza affidabile da potergli restituire quel che lui e Quintino hanno impedito ai nazisti di portarsi via.

Sembra di raccontare un film – tipo La Grande fuga – e invece è la trama di un libro, questa. Un libro cui sembra non mancare nulla per passare allo schermo.

Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.

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