La compassione: un sentimento riparatore, una pratica necessaria

Erminio Gius, Compassione, EDB-Edizioni Dehoniane Bologna 2019

La Bibbia e le parabole del Vangelo, da un lato; dall’altro, le argomentazioni provenienti dalla psicologia sperimentale come dalla psichiatria fenomenologico-esistenziale, dalla psicoanalisi come dalle neuroscienze: i due discorsi si confrontano in questo libro, l’uno lascia intravedere l’altro, si direbbe, secondo la relazione tra figura e sfondo messa in risalto dalle immagini che la psicologia della Gestalt ci ha reso familiari. La sicurezza affettiva offerta dal ventre materno sfuma nella serenità onnipotente vissuta nel giardino dell’Eden, ed entrambe sono inevitabilmente esposte al senso del vuoto, al fantasma dell’angoscia, alla presenza luttuosa della morte.

Le acquisizioni della “scienza psicologica” – sondata con l’ampiezza e la profondità che Eugenio Borgna sottolinea nella sua introduzione – sono il veicolo di un “approccio ermeneutico alla Bibbia”, intesa come “un’antropologia esistenziale piena, corposa, appagante e affascinante”. Tra un Prologo e un Epilogo, esplicitamente rivolti a orientare il lettore, si dipana una riflessione densa di riferimenti, ricca di digressioni, attorno al concetto di compassione, dimensione della misericordia – prerogativa divina – cui la persona umana può attingere, nonostante sia “biologicamente progettata per la sua autoconservazione”, facendone il “fondamento della vita sociale e della stessa democrazia”. Perché, e come, gli uomini possano rendersi compassionevoli è il tema della prima parte del saggio; a quale fine, della seconda. La parabola del figlio prodigo e quella del buon samaritano, soprattutto, offrono il “materiale letterario” sul quale si sviluppa “il pensiero sull’uomo compassionevole e sulla possibilità che la compassione diventi un’etica universale per la pace nel mondo”. Una continuità sostanziale lega i due versanti del discorso: la “riparazione del dolore” che la compassione rende possibile attiene sia “all’anelito di raggiungere la pienezza totalizzante rimembrata nella condizione di vita dell’utero materno” sia alle “sacche di dolore innocente” che travagliano l’attuale società globale, una “società smarrita sia nella sua opulenza sia nella sua povertà”, nella sua indifferenza come nella sua sofferenza. Sul fronte individuale e intrafamiliare così come su quello sociale e politico il “destino degli uomini” è comunque segnato dall’irraggiungibilità e dall’impraticabilità di una felicità che – sosteneva Kafka – rimane comunque scopo fondamentale sul cammino di un quotidiano e mai risolto confronto fra la “tentazione antica di inseguire l’onnipotenza narcisistica e l’impegno a vincere il male oscuro della depressione del ripiegamento difensivo”. Ed è qui che la compassione – espressione di “bontà intrinseca” ma anche di “aspetti oscuri” che non si possono ignorare – rivela la sua capacità di offrire “quell’abbraccio di contenimento benedicente che il dolore di vivere impone all’uomo come aiuto ripartivo.”

In questo percorso, la lettura della parabola del figlio prodigo, illuminata da quella della rappresentazione dovuta a Rembrandt, propone alcune tra le pagine più originali e penetranti del libro, capaci di legare in successione l’analisi della posizione e del ruolo del padre con quella delle figure del figlio minore, che ritorna, e del maggiore, che non se n’è mai andato – figura quest’ultima a torto trascurata e in grado invece  di rivelare risvolti complessi e inquietanti: quelle che emergono – dilatando e attualizzando il significato della parabola – sono le “motivazioni psicologiche” di fondo, i tre ambiti del bisogno di affiliazione, di potere e di successo.

È poi il personaggio dell’out sider, del reietto – quale è considerato il samaritano dalla casta della religione istituzionalizzata – a offrire il terreno di riflessione necessario a “comprendere che cosa significhi per l’uomo praticare la compassione, intesa come giustizia, che restituisca dignità piena all’uomo offeso”. Fino a giungere all’”ipotesi affascinante, se pure ideale, di una «carta etica mondiale»”, espressione di “una comune resistenza contro le cause del dolore ingiusto e innocente” e riferimento di “un’écumene della compassione” finalizzata ad assicurare “il primato di una coscienziosa e democratica politica mondiale/universale nell’era della globalizzazione.”

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